Le mascherine biodegradabili arrivano anche nelle scuole perché aiutano a ridurre i rifiuti. Ma si possono considerare Dispositivi di protezione individuale? E quanto costano? La necessità di un’alternativa alle mascherine chirurgiche usa e getta è stata di recente ribadita, tra gli altri, anche dal presidente della Commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli, che ha definito “sbagliata” la scelta di dare agli studenti quelle monouso. Di fatto, dopo una prima chiusura totale sull’utilizzo a scuola di mascherine che non fossero chirurgiche, è arrivato il contrordine del Comitato tecnico scientifico. Gli esperti suggeriscono ancora quelle chirurgiche. Se non si trovano, si possono utilizzare quelle di tessuto (a patto di lavarle e disinfettarle tutti i giorni). In questo contesto, quelle biodegradabili rappresentano il futuro, oppure rispondono a criteri ambientali, ma non all’esigenza di proteggere dal virus? I due aspetti si possono conciliare, anche se non è affatto facile.

BIODEGRADABILI. QUALE PROTEZIONE? – Le mascherine chirurgiche, per essere sicure, devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica UNI EN 14683:2019, seguendo una serie di requisiti. In piena emergenza Covid, il Decreto legge 18/2020 ha consentito in modo provvisorio produzione, importazione e commercializzazione di mascherine chirurgiche in deroga alle normali disposizioni. Come? Fornendo un’autocertificazione, insieme a ogni elemento utile alla validazione, all’Istituto Superiore di Sanità a cui è stato dato il compito di confermare la possibilità di immissione sul mercato. A ilfattoquotidiano.it l’ISS fa sapere che non sono arrivate “istanze di valutazioni in deroga, ai sensi dell’articolo 15 comma 2 del Decreto Legge 18/2020, per mascherine biodegradabili”. In Italia ad oggi c’è chi le produce biodegradabili e chirurgiche (secondo la norma citata prima), chi le produce biodegradabili e non le vende come dispositivi medici e c’è anche chi sta preparando la documentazione per ottenere la certificazione. Il prezzo varia a seconda di vari fattori (materiali, certificazioni, target). Un appunto: diverse mascherine in commercio sono dotate di elastici non biodegradabili o per i quali non c’è ancora certificazione ad hoc.

LE MASCHERINE NELLE SCUOLE – In questo contesto alcuni sindaci si sono mossi autonomamente. Il primo cittadino di Codogno, Francesco Passerini, dopo aver donato alla scuola media Ognissanti 5mila mascherine chirurgiche ha annunciato di aver contattato un’azienda lombarda che produce quelle biodegradabili e di essere in attesa del preventivo. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto quale fosse l’azienda. Lo staff ha fatto sapere che “ad oggi il sindaco non ricorda il nome, ma ha confermato che i dispositivi di protezione individuale sono dei presidi medici”. Anche l’amministrazione comunale di Sant’Elpidio a Mare (Fermo) ha deciso di donare mascherine biodegradabili agli studenti della scuola primaria e della secondaria dell’Isc. Ogni alunno avrà tre mascherine (disponibili in due diverse taglie, per i più grandi e i più piccoli), consegnate in sacchetti singoli biodegradabili. Sono le Maskeen, prodotte dall’azienda VA.FRA srl di Marco Funari e Sara Cimadamore e personalizzate da Prima Print. Proprio Funari, il cui solettificio si è riconvertito alla riproduzione di mascherine, a spiegare che altri sindaci hanno voluto fornire quelle biodegradabili alle scuole: “A Porto Sant’Elpidio, il primo cittadino Nazareno Franchellucci le ha donate agli alunni di prima elementare e un’iniziativa simile è stata intrapresa anche a Montegranaro”.

LA MASKEEN – La Maskeen (che ha anche gli elastici biodegradabili) è disponibile in tre taglie (per bambini e adulti), è lavabile fino a 10 volte e ha un’alta capacità di filtraggio grazie al doppio strato in trattamento idrorepellente. Il costo va dai 2 ai 3 euro a mascherina. In rete si può acquistare anche da altri rivenditori, ma il prezzo sale (da 4,5 a circa 6 euro). Non si tratta di un dispositivo medico, né di un dispositivo di protezione individuale. Viene prodotta sotto la responsabilità dell’azienda, secondo il Decreto legge 18/2020, ma Funari sta preparando la documentazione per chiedere la certificazione. Va gettata dopo i dieci lavaggi, mentre a scuola (sempre se non è disponibile quella chirurgica) viene chiesto di lavarle quotidianamente. Ognuna, dunque, potrebbe essere utilizzata per dieci giorni abbattendo i costi e riducendo i rifiuti. “La biodegradabile finisce però nell’indifferenziata – spiega Funari – mentre la certificazione di compostabilità richiede un iter più oneroso, che molte piccole aziende non possono permettersi. Comunque, pur ottenendo tale certificazione, la mascherina finirebbe nell’indifferenziata”.

LA MASCHERINA BIODEGRADABILE E CHIRURGICA – È chirurgica (certificazione Uni En 14683 tipo I) la mascherina biodegradabile dell’azienda di Galliate (Novara) Coccato&Mezzetti, realizzata con Mater-Bi, la bioplastica brevettata dalla Novamont. Appartiene alla linea Promovita, negli ultimi quindici anni rimasta attiva grazie alla produzione di altri dispositivi, come camici e tute. La produzione di mascherine in materiali biodegradabili (elastico a parte) e compostabili, invece, è ripresa per dare una risposta concreta all’emergenza sanitaria. Si tratta di un prodotto destinato ad amministrazioni, organizzazioni, strutture sanitarie. “Dopo lo scoppio dell’emergenza Covid-19 abbiamo dovuto presentare nuove certificazioni per i dispositivi medici e, quindi, anche per le nostre mascherine biodegradabili” spiega l’azienda.

LA D3CO – Parte da un’altra riconversione la storia della mascherina in cotone naturale, biodegradabile (elastico a parte) e lavabile (20 volte) dell’azienda di tappezzieri brianzola D3CO di Lentate sul Seveso, specializzata nella produzione di divani biodegradabili. Si chiama D3COAIR e, all’interno, è dotata di un filtro in cotone naturale pressato. Anche in questo caso viene commercializzata sulla base del decreto legge 18/2020, ma non è un dispositivo medico o di protezione. All’inizio dell’emergenza il titolare della D3CO, Davide Barzaghi, ha provato a sottoporre le proprie mascherine ai test obbligatori per ottenere una certificazione. “L’iter prevedeva che il Politecnico di Milano facesse una prima validazione – spiega a ilfattoquotidiano.it – per poi chiedere l’approvazione definitiva all’Iss”. Ma lo stop è arrivato già dal Politecnico. “Ci hanno detto che venivano presi in considerazione solo prodotti realizzati in Tnt, il tessuto non tessuto, un materiale di origine plastica che non risponde alla nostra filosofia aziendale”. La D3CO è andata avanti nella produzione, trovando un accordo con il Comune di Lentate: l’azienda ha scelto un prezzo base, riuscendo a donare in beneficenza una mascherina ogni cinque vendute. Oggi, per tutti, 5 mascherine costano 29,50 euro, con spedizione inclusa. C’è una taglia doppia, per adulti e per bambini.

LE MASCHERINE IN CARTA BIODEGRADABILE – Poi ci sono le mascherine ad uso civile in carta biodegradabile: quattro strati di carta a secco, ossia un insieme di cellulosa e aggreganti trattati a secco, molto resistente e filtrante. Non parliamo di Tnt. Le fibre di cellulosa vengono lavorate a secco proprio per conferire con una tecnica ad aria per ottenere un prodotto più morbido. Viene gettata nella raccolta differenziata della carta ed è generalmente venduto con un packaging in bioplastica biodegradabile e compostabile e che, quindi, può andare nell’umido. Si possono trovare su diversi siti di shopping online, dove si specifica che il prodotto “evita l’effetto apnea”. Cinque pezzi, 6 euro.

SE LA CARTA INCONTRA COTONE E CELLULOSA – Sempre in tema di carta, il gruppo veronese Fedrigoni ha perfezionato una nuova carta filtrante con la quale fabbricare mascherine biodegradabili. Fedrigoni la vende a un ‘trasformatore’, che la personalizza per il venditore. Sul sito Baby-Bio, per esempio, si può acquistare un kit di 5 mascherine per adulti biodegradabili a 12 euro, fatte con la carta ‘trasformata’, anallergica e antibatterica, proveniente proprio da Fedrigoni. Sul sito si specifica: “Non è un DPI, né una mascherina chirurgica, ma un dispositivo atto a diminuire l’effetto Droplet”. “Le mascherine sono una valida alternativa all’utilizzo di quelle chirurgiche, il cui uso massiccio contribuirà a distruggere l’ambiente”, dice la responsabile del sito Emilia Cristofori. Navigando sul web, sono diverse le mascherine che è possibile acquistare. Contattando altri siti, però, spesso non viene fornito il nome del produttore. Spesso si tratta di aziende straniere: le informazioni diminuiscono e i prezzi scendono a meno di 50 centesimi.

COSA ARRIVA DALL’ESTERO – Ma dall’estero arrivano diverse curiosità. Intanto le mascherine biodegradabili AirX, realizzate dall’azienda calzaturiera vietnamita ShoeX con chicchi di caffè vietnamita. Il primo strato è composto da un filato di caffè, nel secondo c’è un filtro biodegradabile, che va sostituito mensilmente, creato usando caffè e nanoparticelle d’argento. È previsto per l’inizio del 2021, invece, il lancio di HelloMask, prima mascherina chirurgica completamente trasparente, messa a punto da scienziati dell’EssentialTech Center della Scuola politecnica federale di Losanna (EPFL), che hanno collaborato con i colleghi del Centro federale svizzero per la scienza dei materiali. L’idea è nata dall’epidemia di Ebola in Africa, quando gli operatori sanitari completamente coperti si attaccavano una propria foto sulle tute protettive per farsi riconoscere da colleghi e pazienti. Gli scienziati hanno creato una start up ad hoc per le mascherine trasparenti, HMCARE, ed hanno già raccolto i fondi per lo sviluppo del processo di produzione industriale.

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