L’obiettivo sbandierato da Eni è quello di guidare la transizione energetica, ricoprendo il ruolo di leader in particolare nel nostro Paese. Per raggiungere questo fine, la compagnia nel 2014 ha cambiato la propria mission, ponendo le sue nuove fondamenta sugli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

Nonostante Eni sia riuscita a dimezzare le proprie emissioni di CO2 dal 2015 al 2019, le attività dell’azienda restano principalmente legate allo sfruttamento dei combustibili fossili; la strategia è quella di concentrarsi sulla produzione di gas naturale, che andrà ad azzerare gradualmente l’uso del petrolio. In termini di rinnovabili, invece, Eni sta investendo capitale soprattutto nella produzione di energia eolica e solare, oltre che in progetti innovativi, come può essere la produzione di energia derivante dal moto ondoso. Infine, la multinazionale è attiva anche in progetti di economia circolare, modello che mira a massimizzare il valore del prodotto (e dei materiali) in ogni fase del ciclo di vita.

Come definito dall’azienda, la strategia è quella di completare il processo di ‘carbon neutrality’ entro il 2050 e l’obiettivo nel lungo termine è di ridurre dell’80% le emissioni di gas serra, rispetto ai dati del 2018 (fonte: FactSheet, May 2020). Al momento, il dato migliore raccolto dalla compagnia deriva dalle emissioni di metano, che nel 2019 hanno visto una drastica riduzione, se comparate agli stessi dati del 2018 (21.9 ktonnesCH4 nel 2019; 38.8 ktonnesCH4 nel 2018).

Sulla base di queste informazioni, sembra che Eni si stia muovendo nella giusta direzione per il raggiungimento dei propri obiettivi. Ci sono però alcuni dati che, una volta analizzati, suscitano dei dubbi relativi alla effettiva credibilità delle strategie di Eni. Ad esempio, un dato che salta all’occhio riguarda il piano di investimenti del triennio 2018-2021, dove l’azienda su 7 miliardi (€) di fondi, ha investito un solo miliardo (€) in progetti relativi a energia rinnovabile e attività ‘verdi’.

Ulteriori domande che riguardano il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dell’azienda nascono quando viene presa in considerazione la produzione di biodiesel. Il biocarburante prodotto da Eni, infatti, deriva per la maggior parte dalle coltivazioni di olio di palma situate in Malesia e Indonesia che, come già denunciato da Legambiente, provocano deforestazione e causano quindi effetti negativi sull’ambiente, accelerando il processo del cambiamento climatico e provocando anche perdita di biodiversità e rischi di erosione del suolo.

Nel dettaglio, l’olio di palma risulta essere la biomassa più utilizzata, con oltre 200 mila tonnellate sfruttate, come evidenziato dal report sulla Sostenibilità del 2019 dell’azienda. Molto distante, al secondo posto si trova l’olio da cucina, che registra 31mila tonnellate. Eni si difende affermando che tali piantagioni e perdita di suolo e foreste, vengono compensate con progetti di rimboschimento; risulta tuttavia difficile trovare dati certi relativi a queste iniziative.

La principale questione da evidenziare, però, proviene dal report ‘Eni for 2019 – Neutralità carbonica nel lungo termine’. La strategia del gruppo, infatti, sembra essere quella di puntare molto sul gas naturale che nel 2030 si prevede coprirà il 60% dell’energia prodotta dall’azienda, per arrivare a un 85% nel 2050. Queste scelte prevedono quindi, ancora una volta, un ruolo marginale svolto dalle energie rinnovabili, rimandando inesorabilmente la transizione verso un’energia e un mondo più pulito e sostenibile. Un radicale spostamento di rotta più deciso verso le fonti rinnovabili potrebbe anche essere premiato dal mercato azionario e contribuirebbe a ridurre il gap della performance del titolo Eni (che in 5 anni ha dimezzato il valore) rispetto a quello dell’Enel (che in 5 anni ha raddoppiato il valore) a tutto vantaggio anche del Tesoro il quale detiene ancora una partecipazione diretta del 30% nell’azienda.

La speranza è quella di vedere un cambiamento nella strategia di Eni, che al momento sembra solo l’ennesimo fenomeno di ‘greenwashing’ (strategia di comunicazione non supportata da risultati reali e credibili sul fronte ambientale) a cui le persone sono ormai quotidianamente sottoposte. Il bisogno presente è quello di massimizzare gli sforzi, per migliorare la qualità della vita e garantire un pianeta più sostenibile alle future generazioni.

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