Il Pogrom d’Istanbul, in greco settembrianà, è ricordato come il saccheggio premeditato e tollerato dalle autorità turche andato in scena tra il 6 ed il 7 settembre 1955 contro la minoranza greca, ebrea e armena. Dopo 60 anni il ricordo di quella violenza gratuita, ma spesso dimenticata, è ancora vivo e in queste ore si moltiplicano manifestazioni e commemorazioni.

Il vulnus di quelle azioni è da ritrovare nell’estremismo nazionalista di stampo ottomano, alla base di quella che allora era una Turchia solo apparentemente laica. Circa 100mila furono i greci rastrellati, ma i fatti si sono persi nella memoria perché proprio in quegli anni Ankara svolgeva un ruolo geopolitico di cuscinetto con l’ex Urss. Per cui godeva di una sorta di salvacondotto diplomatico. Così sono stati dimenticati anche gli attacchi agli ebrei in Tracia nel 1934 e gli attacchi alla minoranza alevita in Turchia.

Sessant’anni dopo lo schema si ripete nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale, a cui l’Europa sta rispondendo in modo non unitario. Il partito di Erdogan ha usato ancora una volta la storia per alimentare le tensioni con i greci, anche se di contro gli estremisti sostenuti dalla Turchia in Siria se la prendono contro curdi e yazidi.

Ankara al fine di contestare il Trattato di Losanna per la delimitazione dei confini nell’Egeo brandisce la clava della storia, ma commettendo molti errori di posizione e di semplice ricostruzione: l’obiettivo di Erdogan è solo il gas tramite la profondità strategica, come dal libro vergato da Ahmet Davutoğlu, già premier, ministro degli esteri turco.

Alla base di quella dottrina le relazioni di Ankara con Iran e Russia ma anche con players arabi come il Qatar, come punto di partenza per una espansione mirata e strutturata. Ciò che si osserva oggi, in Siria, Libia e Egeo dove le mosse scomposte di Erdogan non trovano un limite viste le aggressioni marittime e aeree sulle isole del Dodecaneso e con i carri armati ammassati al confine elleno-turco di Evros.

Per la prima volta un ministro degli esteri greco, Nikos Dendias, ha pubblicato un messaggio (sul suo account Twitter) in occasione dell’anniversario di un episodio che ha segnato per sempre l’ellenismo. Infatti 65 anni fa il pogrom contro l’ellenismo di Costantinopoli è stato un primo anello di una catena di tristi eventi contro i greci espatriati.

Una ragione in più perché l’Europa rinasca dalla sua storia, senza calcoli o equilibrismi tattici, ma prendendo posizioni serie e credibili verso le reiterate violenze che si stanno perpetrando nel Mediterraneo. Non solo contro greci e ciprioti, ma anche ad esempio contro i curdi il cui destino è stranamente avvolto da un preoccupante silenzio. Forse perché la geopolitica in Siria non ammette altre verità.

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