La provinciale che si fa beffe della nobiltà miliardaria, sedendosi al tavolo dell’Olimpo d’Europa: un pensiero che in novanta minuti l’Atalanta aveva fatto maturare in tanti, e che il Psg ha poi distrutto in soli tre minuti. Sì, perché in semifinale di Champions ci vanno i francesi: per 89 minuti però c’era stata l’Atalanta, passata in vantaggio con Pasalic nel primo tempo e rimontata nel recupero da Marquinhos e Chuopo-Moting.

Peccato: era un bel pensiero, quello della Dea tra le prime quattro d’Europa a discapito del Psg. Un bel pensiero sapere in semifinale di Champions Djimsiti, che fino a qualche anno fa faceva il giro delle aree interne della Campania con l’Avellino in B e il Benevento in A, tipo di poca apparenza e tosto come il granito, ignorato da chi cerca bello stile e impostazione.

O Zapata, portato dal Napoli in A e ritenuto inadatto a fare la quarta o quinta punta, salvo ricercarlo di recente, a un prezzo cinque volte superiore a quello pagato all’Estudiantes.

O il Papu Gomez: ripescato dalle lande ucraine dove era finito dopo l’esperienza di Catania. O l’intero centrocampo dell’Atalanta pescato tra Svizzera e Olanda per una cifra complessiva che equivale a quanto il Psg versa lordo in un mese a Neymar. Insomma, faceva bene immaginare in semifinale tra le élite del calcio una squadra “cucita” e non ricamata con sete e tessuti di pregio, guidata da uno che con la bocca magari non ne azzecca una, ma il suo mestiere lo sa fare. Meglio di molti altri.

Ma l’Atalanta ai quarti di Champions che quasi fa fuori il Psg è già storia: qualcosa di ascrivibile all’eresia se immaginato nove anni fa, quando si festeggiava il ritorno in A, e ancora cinque anni fa quando Edy Reja salvava la Dea alla penultima giornata. Qualcosa di sacrilego se immaginato qualche mese fa: dopo che i nerazzurri ne beccarono 4 all’esordio dalla Dinamo Zagabria e dopo aver perso anche le altre due del girone d’andata con Shaktar e City.

Poco da rimproverare ai nerazzurri: l’hanno giocata da grande, con la consueta irriverenza hanno spaventato il Psg, giocando alla pari e senza timori reverenziali di fronte alle giocate di chi domina da anni il campionato francese e ha ambizione di esportare quel dominio anche fuori dai confini transalpini, a suon di milioni.

Ha difeso il vantaggio di Pasalic coi denti la Dea, con spirito bergamasco, dal tradizionalmente fumoso Neymar e soprattutto dal fenomeno vero Mbappé: a lui il Psg deve la semifinale, ripresa con i muscoli e con la testa.

Peccato. Peccato per quella palla sporca finita sui piedi di Marquinhos e carambolata nelle rete difesa egregiamente da Sportiello. Peccato per Chuopo-Moting che poco dopo la chiude definitivamente. Qualche altro secondo, un battito di ciglia e si starebbe raccontando un’altra storia, ma va bene così: la Dea è la squadra italiana che è andata più avanti in Europa, già così è una grande storia.

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