La definiscono una notizia diffusa solo per “influenzare il voto democratico su un referendum costituzionale di prossimo svolgimento”. Di più: serve per “delegittimare il Parlamento in vista del voto”. Anzi: il vero obiettivo è rovesciare “discredito” sulla classe politica “ad un mese” dalla consultazione referendaria. Sono toni da complottisti del referendum quelli usati da alcuni parlamentari di Forza Italia intervenuti in queste ore per commentare la vicenda dei cinque colleghi che hanno chiesto il bonus per le partite Iva danneggiate dal lockdown. Una notizia la cui diffusione è da considerarsi, secondo loro, come una vera e propria operazione per spingere il “Sì” al referendum di settembre, quello per tagliare definitivamente 345 poltrone in Parlamento. Magari proprio quelle su cui sono attualmente seduti i berlusconiani Gianfranco Rotondi, Andrea Cangini, Paola Binetti e Lucio Malan, solo per fare qualche nome dei più attivi teorici del complotto.

Sostenuti da una sorta di copertura ideologica fornita dai direttori de Linkiesta e dell’Huffington Post, i tre parlamentari di Forza Italia provano a spostare l’attenzione dai cinque colleghi che hanno deciso di arrotondare la ricca paga da 12mila euro al mese con i 600 euro stanziati dal governo per le partite Iva in difficoltà. Mentre l’opinione pubblica chiede di conoscere l’identità dei cinque, i berlusconiani depistano e scaricano le responsabilità sul governo. Confortati dalle prime indiscrezioni – tra i cinque furbetti nessuno di Forza Italia ma solo esponenti di Lega, M5s e Italia viva – Cangini, Binetti e Rotondi hanno intinto la penna nel complottismo collegando la notizia degli onorevoli col bonus a un tentativo di spingere la gente a votare sì al taglio dei parlamentari: un salto logico nella migliore delle ipotesi, roba da teoria della cospirazione nella peggiore.

Il più veloce è stato Rotondi, che domenica sera ha preso il suo smartphone per twittare: “Chiamo un bene informato e domando: chi sono questi cinque deputati? Risposta: cinque fessi che ci servivano perché nei sondaggi il No stava andando avanti. Tutto chiaro”. In che senso tutto chiaro? Di che sondaggi parla Rotondi? E chi sarebbe la sua autorevole fonte? Il collega Cangini, da parte sua, allarga il discorso e individua praticamente l’ideatore del complotto in Luigi Di Maio. “Il ministro degli Esteri in carica ha indotto il direttore di un istituto pubblico da lui nominato a mettere alla gogna cinque parlamentari (che andrebbero cacciati a calci, ma che non hanno violato la legge) per influenzare il voto democratico su un referendum costituzionale di prossimo svolgimento”, sostiene oggi il senatore di Forza Italia. Ieri, invece, scaricava ogni responsabilità verso il governo, assolvendo in via preventiva i colleghi (che oggi vuole “cacciare a calci”) da ogni illecito. “Chi è più colpevole, i cinque deputati che nel rispetto della legge hanno chiesto e ottenuto il bonus stanziato dal governo per le partite Iva in difficoltà o il governo che ha dato questa possibilità a tutti distribuendo soldi che non ha?”, si chiedeva in maniera retorica. Secondo la logica di Cangini “i cinque deputati hanno compiuto un atto ignobile, ma individuale” mentre la “colpa politica e lo sperpero di risorse pubbliche sono in capo al governo”. Quindi ecco la richiesta di scuse, indirizzata non ai cinque onorevoli furbetti ma a “Di Maio e l’Inps a guida grillina” che “strumentalizzano la vicenda per delegittimare il Parlamento in vista del referendum”.

Identico il copione seguito da Malan: “Lo scopo di questa squallida vicenda – dice – è gettare fango sulle istituzioni per aiutare il Sì al referendum del 20 settembre, perché la sistematica campagna di menzogne si sta sfaldando: ora hanno bisogno anche di qualcuno da presentare all’odio della folla”. Per il senatore azzurro la responsabilità della vicenda è dell’Inps, del suo presidente Pasquale Tridico, e “del Governo, che ha impedito al Parlamento di discutere per davvero il provvedimento e di correggere la follia per cui si danno soldi a chi non ne ha bisogno”. Poi, continua Malan, “viene chi ha votato la fiducia al governo e solo dopo arrivano i cinque”. Binetti, da parte sua, non fa nomi ma si unisce al coro del complotto definendo “ambigua” la notizia dei cinque colleghi con l’aiuto pubblico. Perché ambigua? Perché, lascia “credere che i cinque meschini profittatori siano solo i deputati e non ci sia nessun altro che stia abusando di miliardi annui visti a pioggia e distribuiti a pioggia con ben poco criterio!”, è il suo ragionamento, compreso di punto esclamativo. Chi sono questi che stanno “abusando di miliardi annui visti a pioggia e distribuiti a pioggia”? Binetti non lo dice, mentre denuncia “l’evidente il discredito che si intende rovesciare per l’ennesima volta sulla classe politica ad un mese dal Referendum per il taglio dei parlamentari”. Il problema è che a rovesciare discredito sulla classe politica non è un’entità esterna, ma cinque componenti della stessa classe. Alle uscite dei forzisti si aggiunge Andrea Pruiti Ciarello, presidente del comitato Noi per il No al referendum, secondo il quale la notizia dei deputati col bonus “è stata diffusa in questo momento per promuovere l’ennesimo moto di avversione al parlamentarismo, in vista del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre e cercare di promuovere un voto favorevole”.

D’altra parte a dare una sorta di copertura ideologica alla teoria del complotto dei berlusconiani sono pure due direttori di giornali online. “Fra la tante sciocchezze a cui non resistiamo, sublime sarebbe quella di inquinare (ulteriormente) il dibattito (che non c’è) sul referendum costituzionale con la storia dei cinque rubagalline del bonus Inps”, scrive Mattia Feltri sull’Huffington Post. Il ragionamento è sempre lo stesso: accusare la maggioranza di fare propaganda per il Sì al referendum cavalcando la notizia degli onorevoli col bonus. E in questo modo servire un assist a chi invece la propaganda la fa per il No. “Tagliare con intenti punitivi – continua Feltri – è lo sbocco perfetto del più irriflessivo populismo”. I paragoni del direttore dell’Huffington? Eccoli: “Le soperchierie alla caserma di Piacenza non hanno armato la proposta di decimare i carabinieri. I mercimoni del Csm non hanno armato la proposta di decimare la magistratura. Se il Parlamento non va, lo si aggiusta, non lo si butta via a pezzi”. Più diretto l’attacco su Linkiesta.it di Christian Rocca, secondo il quale “i populisti di governo stanno provando a farsi una bella campagna referendaria gratis“. Per Rocca il problema non è rappresentato dai cinque parlamentari che hanno chiesto e ottenuto il bonus ma “è quello della classe dirigente al tempo del populismo, di chi l’ha selezionata e di chi l’ha votata“. Colpa di chi va a votare, dunque. Ma se un deputato, pur titolare di un ricco stipendio, ha deciso di mettersi in fila per un bonus pensato per i professionisti in difficoltà – durante la peggiore delle crisi degli ultimi anni – di chi è la responsabilità? Rocca è sicurissimo: “Del governo populista che glielo ha consentito scrivendo una legge poi approvata dalla maggioranza parlamentare e applicata dall’Inps presieduta da un grillino”. Come dire: in caso di rapina la colpa non è del ladro ma di chi tiene i soldi in banca.

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