Dopo 10 anni finalmente il Ministero della Salute ha aggiornato le linee guida sulla pillola abortiva Ru486. In ritardo di molto rispetto agli altri Paesi Europei, dove attualmente si utilizza ovunque tranne lì dove è l’aborto in sé ad essere illegale, cioè clandestino e pericoloso per la salute delle donne (es. Malta, Polonia…). Rispetto ai metodi abortivi tradizionali, che in molte regioni risultano impossibili da praticare a causa degli obiettori di coscienza, la Ru486 consente con le nuove direttive di interrompere la gravidanza fino alla nona settimana senza ospedalizzazione.

Dunque, non solo rende più accessibile il diritto all’Ivg, ma riduce anche i rischi e l’impegno fisico per la donna: non sono necessari anestesia e intervento, né è possibile andare incontro a danni come emorragie o lacerazioni al collo dell’utero; inoltre, evita infinite liste di attesa, spostamenti in altra provincia, obbligo di permesso per assenza dal lavoro, per non parlare della pericolosità di permanenza in ospedale durante l’emergenza covid-19. Non esiste nessun dato scientifico che giustifichi il ricovero per Ivg farmacologica e tutte le linee guida internazionali la consentono in sicurezza fino alla nona settimana.

A coloro che gridano allo scandalo e a una improvvisa mattanza dei bambini, è necessario ricordare due cose. La prima: l’unico dato a nostra disposizione per poter considerare oggettivamente l’individualità del feto (al di là della fede e delle credenze personali) è la sua capacità di sopravvivenza al di fuori del grembo materno, che può sopraggiungere non prima della ventesima settimana.

La seconda: la Ru486 in Italia è in commercio dal 2009, non è affatto la novità dell’ultima ora. Secondo le vecchie linee guida, però, era possibile ricorrervi solo con ricovero di tre giorni, nonostante il via libera alle Regioni per la somministrazione ambulatoriale. Di conseguenza, solo poche erano in grado di offrire un servizio adeguato per numero di strutture, potenzialità organizzative e di personale (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria), perciò la Ru486 è sempre rimasta in secondo piano.

Non solo nell’utilizzo (solo il 20% delle donne che vogliono interrompere la gravidanza vi fanno ricorso), ma anche e soprattutto nelle discussioni pubbliche sull’autodeterminazione in cui, fatta eccezione per le associazioni femministe e quelle dei medici a sostegno, si è sempre parlato genericamente di “aborto”.

Mi fa amaramente sorridere che in un paese in cui il diritto alla 194 ce lo dobbiamo guadagnare ogni giorno, schivando umiliazione e continue accuse, qualcuno titoli – in buona fede, ovviamente – “Aborto: cade l’ultimo no”. L’ultimo? Magari! I dati sull’obiezione di coscienza continuano a essere preoccupanti e l’effettivo accesso all’Ivg è garantito a seconda della zona geografica di provenienza. Sette ginecologi su dieci sono obiettori. Per fede o per comodità.

Senza contare le ingerenze del mondo cattolico su questo tema, fortemente richiamate anche durante le recenti proteste in Umbria contro la giunta leghista che ha eliminato il ricorso alla Ru486 in day-hospital. Qui, le femministe millennials e gen z, accanto a quelle di vecchia data, hanno battagliato per settimane, spesso indossando gli abiti delle ancelle della serie tv Handmaid’s Tale, ambientata in un futuro distopico in cui le donne fertili sono obbligate a portare avanti gravidanze per lo più indesiderate dopo essere state vittime di violenza da parte di invasati della terra promessa.

Quelli di casa nostra, i fan del Family Day, già lo chiamano “aborto fai da te”. Forse non hanno chiaro che il vero “fai da te” lo producono moralismo e clandestinità, col ricorso a pratiche dolorose e pericolose, spesso scovate sul web. Dall’ultima relazione del Ministero della Salute (2019) risultano tra i 10.000 e i 13.000 aborti clandestini solo tra le donne italiane, a cui vanno aggiunti i dati di quelle straniere che vivono nel nostro Paese. L’Iss lo definisce “un intervallo abbastanza ristretto”, ma si tratta comunque di decine di migliaia di casi che con l’accesso alla Ru486 potrebbero ridursi drasticamente.

Intanto in Umbria partiti e associazioni stanno già chiedendo con forza la revoca della delibera liberticida della giunta leghista presieduta da Donatella Tesei, proprio in seguito al parere del Consiglio Superiore della Sanità. Mi auguro che le regioni possano presto adeguarsi alle nuove disposizioni. Come si dice? La speranza è l’ultima a morire.

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