Questa foto è stata scattata a Folgaria (Trento), pochi giorni fa. Il titolare ha esposto il motivo della chiusura, alcuni gli hanno espresso solidarietà, la mia solidarietà è per il bambino. Non ho gli strumenti per fare i conti in tasca a un negozio, ma non è difficile immaginare le difficoltà. Ne scrivo perché penso che quest’attività commerciale abbia infranto la legge per aver venduto un gioco, ignoro quale, ma lo ha fatto, quando non poteva.

Le verifiche hanno portato alla luce la gravissima infrazione solo ora, tanto da “fargliela pagare” adesso, quando ne sappiamo qualcosa in più di questo virus, abbastanza da rispettare il diritto inalienabile dei bambini al gioco.

Ricordo i primi giorni di quarantena e l’isteria collettiva nei supermercati, lo scaffale vuoto della pasta e quello pieno (e vietato) della cancelleria. Vallo a spiegare alla signora che mi guardava schifata, mentre infrangevo la legge, prelevare matite HB, pennarelli e una risma di fogli, valle a dire che di lavoro faccio il disegnatore. Dubito che a quel supermercato sarà intimato chiudere per aver venduto materiale non concesso in periodo Covid.

Leggendo le parole appese all’ingresso chiuso del negozio di Folgaria immagino un bambino obbligato in casa, circondato dalla bellezza dello spazio di montagna, il sole e la natura che chiama e l’impedimento di uscire. E a quanto male sappiamo infliggere ai bambini impedendo loro quel che per noi è solo un gioco. Non c’è solo il danno economico, ma l’alibi del ‘bambino resiliente’ come diagnosi al piccolo umano capriccioso, che può dar sempre la precedenza ai grandi. Come quei grandi che han pensato di applicare ciecamente la legge, come se considerare l’esigenza del bambino fosse solo un gioco e quindi da punire.

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