Se il termine epidemia si riferisce a qualcosa che incombe sul popolo, riguardando una parte limitata dello stesso (dal greco antico: epí = sopra, tra; demos = popolo), la pandemia ci mette in guardia rispetto a un pericolo che coinvolge almeno potenzialmente il popolo nella sua interezza (pan = tutto). Questo è ciò che ci insegna quella materia che studia l’origine delle parole e che passa sotto il nome di etimologia.

L’epoca in cui viviamo è quella che, tristemente, troppo spesso si lascia riassumere per il tramite della “parodia” (ancora dal greco antico: pará + odê = controcanto). Un controcanto che non ha come suo scopo quello di suscitare il riso, o meno ancora di farsi beffe dell’esercizio etimologico. Piuttosto, la parodia vuole svelare in questo caso il contesto poco serio (ma non per questo meno grave) con cui abbiamo a che fare per interpretare il nostro tempo.

Il tempo triste e sciagurato di un’epidemia da virus che, ahinoi, s’è rapidamente trasformata in pandemia ma, per l’occasione, ha prodotto anche un effetto non contemplato dai manuali di virologia: la “pandemenza”. Trattandosi di un neologismo, proverò a fornire una definizione tutt’altro che rigorosa.

Si intende, con il termine “pandemenza”, una curiosa ma evidentissima forma di rincoglionimento diffuso che, omettendo i leoni da tastiera, ha condotto personaggi fra i più disparati (dal filosofo Giorgio Agamben al critico d’arte Vittorio Sgarbi, dal politico Matteo Salvini al cantante Andrea Bocelli. Unica caratteristica tassativamente richiesta: conoscenza nulla della virologia) a esternare le proprie più o meno profonde elucubrazioni sull’emergenza sanitaria.

L’illustre filosofo ci ha intrattenuto teorizzando una sorta di nuovo governo totalitario delle menti e dei corpi, naturalmente senza specificare per opera di chi (visto che ci sta finendo sotto tutto il mondo e ormai non si contano più gli eventi annullati per via del Covid-19) e senza specificare quali misure alternative si sarebbero dovute prendere, secondo lui, per contenere un virus oltremodo contagioso e sconosciuto.

L’autorevole critico d’arte non ha praticamente argomentato (ah, questi futuristi maniaci della pagina bianca…), limitandosi a una forma di situazionismo estremo nella scena penosa del suo corpo portato via di peso dagli impiegati del Parlamento.

L’ingegnoso leader della Lega, dal canto suo, impavido di fronte a ogni senso del ridicolo (e della contraddizione) si è alternato fra un “gli immigrati portano il virus” e un “il virus non esiste più”, salvo concludere che lui comunque la mascherina non la indossa più (non è da escludere che gli rovini i selfie).

Terminando la rassegna di “pandemenza”, arriviamo fino al celebre cantante, che puntualmente travisato ha argomentato più o meno in questo modo: “Non conosco nessuno della mia cerchia di amici che è stato ricoverato in terapia intensiva, quindi…”.

Che poi, a volerla dire tutta, neanche io conosco nessuno della mia cerchia di amici che compri i suoi dischi, ma da qui a negare la sua fama ci passano i numeri. I milioni di dischi venduti, certo, che però non si capisce bene perché dovrebbero valere più delle centinaia di migliaia di morti ad oggi nel mondo per colpa del virus, peraltro destinati molto probabilmente ad aumentare.

Milioni di contagiati, intere nazioni messe in crisi, ospedali allo stremo, capi di governo titolari di figuracce epiche (Johnson, Trump, Bolsonaro, ma la lista è lunga), eventi mediatici e commerciali di notevole spessore annullati in tutto il mondo (con perdite economiche ingenti), eppure abbondano i personaggi più o meno illustri che negano l’emergenza, si ribellano irrazionalmente alle misure di sicurezza, individuano trame, interessi, colpevoli e Dio solo sa che altro pur di negare l’inaccettabile evidenza.

Quella per cui malgrado il livello di progresso raggiunto (o forse proprio a causa di questo), siamo esseri umani comunque in balia degli eventi naturali. Un dato inconcepibile agli occhi dell’abitante della società paranoica, alla costante ricerca di “significati oscuri”, di tracce rivelatrici della “verità nascosta”, per il quale l’ovvio, il superficiale e l’apparente semplicemente “mascherano la verità” (Glen O. Gabbard, Psychodynamic Psychiatry in Clinical Practice, APP, Washington – London 2014, p. 401).

Senza contare il più grave dato psicologico in questa epoca di solitudini comunicanti: la scomparsa dell’empatia. Quel che non coinvolge la persona o la sua cerchia ristretta, allora non esiste o è trascurabile. Il guaio è che mentre il virus respiratorio auspicabilmente sparirà, la pandemenza dovremo tenercela, e provocherà danni ad oggi perfino inimmaginabili.

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