“Sono considerata una lavoratrice essenziale, proprio come gli infermieri. Abbiamo un ruolo importante perché permettiamo ai genitori di andare a lavorare e i figli dei lavoratori essenziali possono frequentare la scuola facendo didattica a distanza in spazi fisici dedicati all’interno degli istituti”. Michela Pellizon è una docente italiana che vive da sedici anni in Australia. Insegna a Melbourne, in una scuola superiore maschile privata. E anche e ora che lo Stato di Victoria, dove vive, sta affrontando un nuovo lockdown a seguito dell’aumento dei contagi, la scuola non si ferma. A fare didattica a distanza sono i ragazzi dai 13 ai 16 anni, mentre per chi frequenta quarta e quinta le lezioni si fanno in classe con regole ben precise. “La primaria è chiusa e solo i figli dei lavoratori essenziali la possono frequentare, mentre la scuola dell’infanzia è rimasta aperta”, racconta a ilfattoquotidiano.it.

Da quanto tempo siete tornati in lockdown?
“Siamo tornati in quarantena da due settimane. Gli australiani non si aspettavano questa seconda ondata. Noi italiani che viviamo qui eravamo più ansiosi e angosciati dei locali e ora siamo un po’ tutti depressi. Dall’8 luglio la mia città e buona parte del Victoria sono in lockdown, ma i casi non diminuiscono. Anzi aumentano. Abbiamo sempre avuto la possibilità di andare a passeggiare nel raggio di cinque chilometri da casa. Si può fare: vedi gente che cammina, che esce in bici. Puoi andare a camminare con un’altra persona e puoi andare a visitare il partner”.

Qual è l’umore a fronte di questa nuova ondata di Covid-19?
“In questi ultimi giorni la gente si sta rendendo conto del rischio. Hanno tutti le mascherine, anche perché la contravvenzione è di 200 dollari. E se vai dall’altra parte della città senza alcun motivo rischi una multa di 1600 dollari”.

Come giudichi la reazione dal punto di vista sanitario?
“Hanno avuto tempo di prepararsi. Gli ospedali privati e pubblici si sono uniti e il tampone si può fare gratuitamente a tutti. I numeri dei contagiati sono alti anche per questo. Il sistema sanitario australiano sta funzionando bene”.

E la scuola? Tu stai ancora insegnando?
“Nei mesi di marzo e aprile con la prima ondata abbiamo sperimentato la didattica a distanza ma verso la fine delle lezioni siamo tornati tutti in classe con regole precise: gli adulti dovevano mantenere le distanze, c’erano distributori di gel disinfettante ovunque e gli insegnanti pulivano ad ogni cambio d’ora la scrivania. Quando a luglio i numeri dei casi sono tornati a salire hanno deciso di lasciare a casa i ragazzi di 13, 14, 15 e 16 anni. Quarta e quinta, invece, frequentano ancora la scuola per prepararsi alla maturità. Io che insegno ai più grandi continuo a far lezione con loro face-to-face mentre con le prime e le seconde uso la piattaforma Zoom. Sono considerata un lavoratore essenziale proprio come gli infermieri. Abbiamo un ruolo importante perché permettiamo ai genitori di andare a lavorare, tant’è che i figli dei lavoratori essenziali possono frequentare la scuola facendo didattica a distanza in spazi fisici dedicati all’interno degli istituti”.

Ma ti senti sicura in questo momento ad andare in classe?
“Sì, decisamente. I ragazzi capiscono le regole e le rispettano. Si sono rimossi alcuni banchi per creare maggiore distanziamento, viene misurata la temperatura sia agli studenti che a noi docenti. Tutti portano le mascherine e se viene trovato un caso infetto la scuola viene immediatamente chiusa e riaperta solo dopo le operazioni necessarie per disinfettare il tutto”.

Per gli altri ordini di scuola cosa sta succedendo?
“La primaria è chiusa: solo i figli dei lavoratori essenziali la possono frequentare. Mentre la scuola dell’infanzia è rimasta aperta. In entrambe se vengono accertati dei bambini sintomatici si procede come per le superiori”.

La tua famiglia come sta vivendo questo periodo di nuovo lockdown?
“Ho due figlie, Giorgia e Giulia, di cinque e sette anni. Anche la grande potrebbe andare a scuola visto che è figlia di una lavoratrice essenziale, ma dal momento che a casa ci sono i nonni, che non sono più potuti tornare in Italia, temo che possa contagiare proprio loro che sono anziani. Di conseguenza ho preferito non mandarle a scuola. Lavorano comunque attraverso Zoom”.

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