Dediti a un genere, lo Stoner Rock, che affonda le proprie radici nell’hard rock degli anni 70 e che è emerso nei ’90 grazie ai Kyuss, ritenuti a tutti gli effetti gli iniziatori, i veronesi Kayleth – nati nel 2005 durante uno di quei soliti inverni nebbiosi e freddi in cui la voglia di paesaggi desertici era ancora più forte e con un nome tratto da un libro di Isaac Asimov – hanno da poco pubblicato il loro terzo album intitolato 2020 Back to the Earth.

Composto da dieci pezzi travolgenti e sperimentali, che riflettono un animo viscerale alla base dello Stoner più puro e incontaminato, i brani narrano di viaggi tra galassie sconosciute e forme di vita realmente intelligenti, e fra riff a macinatura lenta, accordature basse e una costante presenza di un basso elettrico dal suono potente ci accompagnano in un viaggio che è non solo sonoro.

Dopo tanto vagare, i nostri ritornano sulla Terra e ciò che trovano è un pianeta distrutto dall’inquinamento, sfruttato nelle risorse e corrotto dall’avidità. Corrupted, il brano di apertura, è una canzone di denuncia per chi detiene il potere: governi, religioni e ideologie alimentate dalla corruzione hanno minacciato il popolo negando loro un’evoluzione spirituale.

Negli altri brani si parla dell’avidità che porta al disboscamento per lasciare spazio alla cementificazione (Concrete), passando per le diversità umane come valore di unicità nell’universo (By your side) e la necessità di fuggire da ciò che terrorizza e che non vogliamo affrontare (Lost in the canyons). E tra realtà e fantascienza, i Kayleth coi loro brani tentano di rivelare l’illusione di domani sulle nostre vite: sta a noi rinnegare questa schiavitù e saperci rialzare. Vive Le rOcK!

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