Con il tacito consenso del ministro della Giustizia, ogni anno il Pg presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d’archiviazione disciplinare, ma neppure il Csm li può leggere.

di Rosario Russo*

Lo scandalo delle Toghe Sporche è oggetto di procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Perugia. Inoltre, tutte le condotte dei magistrati inquisiti o coinvolti a diverso titolo dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa sono – o saranno – oggetto di indagine disciplinare da parte del Procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione.

Per legge, il Pg ha l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum, mentre il ministro della Giustizia ne ha soltanto la facoltà, che esercita in base a valutazioni sostanzialmente politiche.

Tuttavia, ricevuta una notizia disciplinare, con motivato provvedimento il Pg può discrezionalmente archiviare se il ministro non si oppone. Questo per effetto della riforma Mastella (2006) con cui è stata abrogata la disposizione che riservava al Csm la declaratoria di non luogo a procedere richiesta dal Pg al Csm, titolare del potere sanzionatorio nei confronti dei magistrati ordinari. Al Consiglio pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal Pg.

Non è l’unica grave anomalia del sevizio disciplinare: malis mala succedunt. Con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 – in netto contrasto con lo spirito dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10 – il C.D.S. ha statuito che l’archiviazione del Pg è accessibile soltanto al ministro della Giustizia, restando perciò interamente opaca per l’autore della segnalazione disciplinare e perfino per il magistrato indagato e il Csm.

Perché sono importanti questi rilievi? Perché nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno 1380 notizie d’illecito disciplinare (segnalazioni con cui avvocati o cittadini denunciano abusi dei magistrati). Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè 1264) è stato archiviato dal Pg e quindi soltanto per 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare. Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono disposte dal Csm.

La ‘casa’ della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione. Non è così infatti per altre archiviazioni. In ambito penale, se sia stata emessa l’archiviazione, qualunque interessato (indagato, terzo, denunciante o querelante) normalmente ha diritto di averne copia (art. 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. Le archiviazioni disciplinari nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate al denunciante; anche quelle nei confronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse. La segretezza delle archiviazioni disciplinari del Pg è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo “l’abbandono di schemi obsoleti… secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare” (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014).

Le indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del Csm, coinvolti nello scandalo delle Toghe sporche, inevitabilmente hanno avuto – o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il Pg archiviasse – com’è in suo potere – non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Absurdissimum, se si considera che, in sede disciplinare (come in sede penale), per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito (una… medaglia al valore giudiziario), anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal Csm o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).

Introdotta finalmente la legge sulla trasparenza (D. lgs. n. 33/2013), è tempo che – specialmente in questa grave contingenza storica – anche la ‘casa’ dell’archiviazione disciplinare cessi di essere opaca senza alcuna plausibile ragione. Se la decisione amministrativa o giurisdizionale si distingue da “un pugno sul tavolo” soltanto in virtù della motivazione, non è ormai accettabile che al cittadino che abbia segnalato qualche abuso dei magistrati si risponda dicendo: archivio perché… archivio!

La rinascita della Giurisdizione, disfatta dal recente scandalo delle Toghe sporche, ne presuppone la piena e completa trasparenza.

* già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Classe 1947, catanese, si laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode. Vincitore di borsa di studio, è professore a contratto presso l’Istituto di diritto privato etneo, diretto dal prof. G. G. Auletta. Nominato magistrato ordinario, presso i Tribunali di Caltagirone e Catania si occupa di diritto civile ma anche di maxiprocessi in Corte di Assise d’appello. Ha fatto parte dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia. Prima del pensionamento, ha svolto per oltre diciotto anni le funzioni (civili, penali e disciplinari) di sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Si è occupato dell’informatizzazione del sistema giudiziario e dei maxiprocessi. È autore di articoli e monografie di carattere prevalentemente giuridico. Scrive abitualmente sul sito Judicium.it, diretto dal prof. B. Sassani.

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