La direttissima Brescia-Bergamo-Milano (Brebemi) ha archiviato il suo sesto anno di perdite. Non ne (ri)parleremmo, se questa sfortunata infrastruttura non fosse tuttora oggetto delle narrazioni romanzate di molta stampa, per non parlare dei premi internazionali che ne fanno la punta di diamante del project financing a livello planetario.

Il recente passaggio di mano da Intesa Sanpaolo alla spagnola Aleatica ha dato ulteriore fuoco alla polveri, quasi che gli spagnoli (e non semmai gli italiani) si fossero assicurati l’affare dell’anno. Ci sembrava insomma doveroso ristabilire un certo equilibrio. D’altro canto serve a poco unirsi al coro dei “l’avevamo detto” e c’è da augurarsi che la concessionaria metta in ordine i suoi conti, scongiurando anche solo il rischio di nuovi contributi pubblici.

In sintesi, l’autostrada ha chiuso il 2019 con un rosso di 49 milioni, in crescita di un quarto rispetto all’anno prima, che porta il monte perdite a 277 milioni in sei anni. Il traffico aumenta e non poco, ma sempre ampiamente al di sotto delle previsioni e ciò fa saltare il banco, a fronte di un debito monstre di 1,8 miliardi che solo l’anno scorso ha generato oneri per 111 milioni.

C’è poi l’aggravante sociale di un contributo pubblico di 320 milioni e di un pedaggio tra i più cari d’Italia, oltre a quella finanziaria di contratti derivati (strumenti complessi a copertura dei rischi di tasso) per 250 milioni, in gran parte negativi.

Potremmo discutere all’infinito sull’utilità di un’autostrada che corre in parallelo a un’altra gigantesca arteria a pedaggio (l’A4) e tanto abbiamo scritto e detto sull’argomento, ma ora sono i bilanci a parlare e qualche analista indipendente potrebbe illuminarci sui rischi reali per la collettività. Speriamo solo che la recente conversione del debito in obbligazioni possa alleggerire il peso finanziario, grazie a tassi più bassi.

Lo speriamo, perché a meno di un boom del traffico veicolare lombardo, non occorre essere esperti per capire che con questi numeri non si va lontano. Insomma lo spettro di nuovi interventi pubblici non sembra scongiurato dato che, per definizione, le concessionarie non falliscono e in Italia il rischio, com’è noto, è per lo più collettivo. Ciò rende l’investimento nel settore particolarmente appetibile ma, tolti i profitti di costruttori e banche, non sarà facile spiegare ai nostri nipoti il senso di un tale costosissimo nastro d’asfalto.

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