Ultimi giorni di esami e anche quest’anno scolastico, strano com’è stato, va in archivio. Con i candidati per il diploma di maturità, convocati per un’unica data di colloqui, abbiamo assistito a situazioni paradossali: questi ragazzi, che hanno ripreso la loro vita abituale troppo spesso come se non ci fosse mai stata alcuna emergenza sanitaria, all’arrivo nella sede scolastica vengono accolti come se, al contrario, fossimo nel pieno scatenarsi di un focolaio fuori controllo in una zona rossa lombarda o, oggi peggio, brasiliana.

Percorso obbligato, security sanitaria con sistemi termografici che rilevano istantaneamente la febbre, sanificazione a ogni passo, guanti e mascherine fisse per tutti, bagni limitati, laboratori chiusi, amuchine e disinfettanti ovunque. Un protocollo rigidissimo.

L’esame è poco più che una formalità: consolidando una tendenza già in atto da anni, ora più che mai gli studenti non devono assolutamente essere stressati; nessuna domanda, niente imprevisti, nulla che non concorra a metterli a proprio agio, mentre gli oneri se li sono sobbarcati tutti i vecchi e stanchi insegnanti (gli eroi che non si sono messi in malattia), cui spetta la predisposizione di una serie interminabile di atti, verbali e scartoffie varie.

Difficilissimo muoversi tra uffici decimati dai tagli dell’ultimo decennio e i certificati medici pre-pensione: i pochi, coraggiosi amministrativi superstiti non sanno veramente come orientarsi tra le pratiche burocratiche e si naviga a vista. Alla fine i discenti (ma soprattutto i docenti), avendo dimostrato qualcosa di buono all’unico membro esterno della commissione esaminatrice – il presidente, spesso da rintracciare nelle scuole di grado inferiore, essendo tutti i professori delle superiori impegnati come commissari interni – tutti promossi, per carità! Così i ragazzi possono uscire dal percorso obbligato, togliere mascherina e orpelli e correre a festeggiare con gli amici.

Altro che assembramenti: troppo spesso in cinque nella stessa macchina, abbracciati nei locali dell’apericena, con la diretta della partita di calcio. Poco conta che non ci sia pubblico – in video lo fanno apparire artefatto dietro la solita pubblicità – e i giocatori si muovono sempre più come pupazzetti della playstation. Niente di nuovo, dunque, superata la sospensione delle attività: solo un’accelerazione di tendenze già in atto.

Ai poveri insegnanti, invece, restano da fare scrutini e chiusura plichi, nel clima torrido e senza poter azionare l’aria condizionata. E qui l’anacronismo raggiunge il culmine, con frangenti in cui il tempo non sembra essersi fermato ma tornare indietro di almeno 50 anni: dopo aver fatto quasi tutto da remoto, con la “commissione web” a finire di ingarbugliare le verbalizzazioni (con la maggioranza dei docenti vecchi e digiuni di ogni competenza informatica) nella scatola del materiale di cancelleria in dotazione di ogni commissione riappare il vecchissimo filo dei pacchi postali, una candela con accendino e la mitica ceralacca da sciogliere.

Siamo ancora lì, dalle parti del medioevo, col docente esperto che si presta alla delicata operazione, incurante del concreto pericolo di incendio, e il Presidente che, dopo aver sapientemente intinto il timbro nell’inchiostro e in acqua fredda, appone con convinzione il sigillo.

Le firme sullo stantio cartoncino da imballo, la consegna del tutto e si rimedia l’uscita: ce l’abbiamo fatta anche quest’anno, spiace non potersi salutare decentemente, si sorride dietro le mascherine, qualche ardito si scambia una gomitata d’intesa. Tutto fino al cancello, dove la mascherata viene messa da parte con tutto il resto e ci si prepara per tornare alla normalità, fatta di cene d’addio e vacanze riconcilianti, come non ci fosse un settembre! Speriamo bene…

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