“Per fare le rivoluzioni bisogna saper fare compromessi, e per fare il bene talvolta saper coltivare anche il male”. Parola di Giovanni Toti, che così strigliava Elisa Serafini quando, nel luglio 2018, decise di dimettersi dal ruolo di assessora alla cultura e al marketing territoriale del comune di Genova. Incarico che ricopriva da esponente della stessa area politica del presidente della Regione. “Non volevo sottostare a un sistema che ritenevo e ritengo tuttora corrotto, clientelare e dannoso per il territorio e per la politica, fatto di appalti e consulenze ‘organizzate’, regolamentazioni e autorizzazioni ad personam, conflitti di interesse, e spesa pubblica incontrollata”, rivendica pubblicamente sui social a poche ore dagli arresti che hanno scosso la Regione. Manager e giornalista/opinionista di area liberale e liberista, nel 2017 Serafini tagliava la torta con il logo della Fondazione Change alla cena di gala per raccogliere fondi per la campagna elettorale di Marco Bucci. “Mi ero candidata nella lista di Toti ma né lui né Bucci mi conoscevano, li ho conosciuti dopo”, ripercorre l’ex assessora al telefono da Bangkok, città dove da alcuni anni si è trasferita per vivere e lavorare.

Quando ha capito che l’ambiente politico nel quale si muoveva non faceva per lei?
Quando hanno iniziato a farmi pressioni che ritenevo intollerabili e anche penalmente rilevanti. Mi vedevano come una giovane manipolabile, non avevano capito il valore che do alla libertà e a criteri etici nella politica.

Che tipo di favori le chiedevano?
I favori che ho denunciato in un esposto in procura e dettagliato nel mio libro Fuori dal Comune, che include centinaia di fonti e nomi. Si trattava di promuovere consulenze, anche a persone che non avrebbero fatto nulla, approfittando del fatto che l’ambito della cultura consente anche incarichi difficili da rendicontare. La goccia che fece traboccare il vaso fu la richiesta di dare dei soldi attraverso una finta consulenza a un personaggio terrificante, espressione di ambienti dell’estrema destra, che aveva sostenuto la lista civica del sindaco nella quale mi ero candidata. Per dare l’idea del soggetto, gestiva voti di operai dell’Ilva dei quali alcuni pure iscritti alla Fiom. Mi sono trovata nelle condizioni di non poter più rifiutare e allora ho dato le dimissioni, anche per dare un segnale politico a Toti, Rixi e Bucci.

Nel libro fa tutti i nomi, ma l’esposto a oggi non ha avuto ripercussioni giudiziarie: è stata querelata?
No, nessuna querela, anche perché io mi sono limitata a riportare fatti sui quali conservo tutte le prove. Non ho sostenuto un nesso causale diretto. Piuttosto ho osservato che, a seguito di certe pressioni e richieste, emergevano specifici atti politici.

Una sorta di whistleblower della politica locale.
Ma l’esposto ho preferito presentarlo alla Procura di Milano, nucleo anticorruzione della Pubblica amministrazione, perché temevo che a Genova potesse essere affossato. Dopo alcuni mesi, com’era mio diritto, ho richiesto informazioni sull’esito dell’esposto e mi è stato detto che era stato trasferito a Genova, dove era stata avviata un’indagine per abuso d’ufficio nella quale ero parte lesa. Ma l’indagine era carico di ignoti, senza ulteriori aggiornamenti.

Perché ritiene che i fatti da lei denunciati siano ancora attuali, visto che risalgono al 2018?
Perché nelle notizie sulle indagini che emergono adesso rivedo tali e quali le stesse dinamiche che osservavo. Grandi finanziatori che, a seguito di cospicue donazioni, ottenevano risposte veloci e positive a qualsiasi richiesta avanzassero.

Sembra l’altra faccia del “modello Genova”: che riscontro ha avuto il libro?
Ho venduto 3.500 copie con il crowdfunding, moltissimi giornalisti l’hanno letto, ma solo Marco Grasso per Il Fatto Quotidiano ha riportato le mie denunce dedicando spazio al mio libro e rendendo conto dell’avvio delle indagini. Credo che questo sia un altro fatto interessante, considerando quante generose elargizioni la Regione dà ai media locali.

Coltiva ancora ambizioni di un rientro nel campo della politica?
Al momento non è nei miei piani un rientro in Italia, mi occupo di governance digitali e sto studiando le politiche pubbliche in Asia. Può essere magari in futuro, ma credo si possa fare politica in tanti modi, contribuire al bene comune anche senza entrare nell’ambito elettorale.

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