I resti di molte delle centinaia di yacht ormeggiati nel porto Carlo Riva di Rapallo, distrutti dalla furia delle onde durante la mareggiata dell’ottobre 2018, erano stati recuperati e smaltiti in maniera illegale, tra la Toscana e la Campania, da due società riconducibili a un uomo che si definiva vicino ai Casalesi e ‘puntava’ al porto di Genova. Tutto con l’avallo dei vertici del Carlo Riva, il più grande tra gli approdi turistici italiani, che avevano interesse a risparmiare sui costi di smaltimento, accorciare i tempi e non scontentare armatori e assicurazioni.

È quanto hanno ricostruito il procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio e il pm Andrea Ranalli della Dda di Genova in un’inchiesta che martedì mattina ha portato all’esecuzione di 9 misure cautelari, ordinate dal gip Claudio Siclari, nei confronti dei manager della società Carlo Riva e imprenditori con le accuse, a vario titolo, di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato in concorso, violenza privata aggravata dal metodo mafioso, omicidio colposo, calunnia, illecita concorrenza con violenza e minaccia e intermediazione illecita di manodopera. Nell’inchiesta – che vede in totale 16 indagati – sono inoltre stati sequestrati 3,5 milioni di euro. Tutta l’operazione di recupero e smaltimento di 85 yacht dopo la tempesta – che distrusse in totale 435 imbarcazioni – ruota attorno alla figura dell’imprenditore napoletano Pasquale Capuano e di Marina Scarpino, direttore della società Carlo Riva che gestisce il primo porto turistico e voleva gestire “a qualunque costo” le operazione anche ricorrendo “all’illegalità”.

È proprio Scarpino ad affidare il recupero e lo smaltimento alle società British Shipways s.r.l. e ad AST s.r.l., il cui titolare e Capuano, il quale avrebbe smaltito in maniera abusiva – secondo gli accertamenti di carabinieri e Capitaneria di Porto – 764 tonnellate di rifiuti speciali misti pericolosi e non pericolosi in alcune discariche a Marina di Massa, a Carrara e a Giugliano, in provincia di Napoli, dove un caporale si occupava della recluta di manodopera straniera da sfruttare. Una filiera interamente in nero. Secondo i pm della Dda di Genova, i vertici – ai domiciliari è finito anche il presidente del cda Andrea Dall’Asta e il responsabile della sicurezza Massimo Burzi – pur “sapendo con chi stavano trattando” avevano aperto le porte del Carlo Riva a Capuano, nel frattempo coinvolto nel tentato omicidio di un rivale nel settore della cantieristica navale e finito in cella per essere rientrato a Napoli nonostante l’obbligo di dimora a Rapallo.

Ed è proprio durante un colloquio in carcere che, lo scorso 7 agosto, l’uomo parla con la figlia Filomena, subentrata nella gestione e anche lei ai domiciliari, e le dice che sta stringendo accordi con alcuni ‘ndraghetisti per entrare nei lavori in altri porti, dopo che a Rapallo aveva trovato “una miniera d’oro”. È la stessa figlia a vantarsene: “Babbo ha già messo le mani su Rapallo e sta mettendo le mani anche su Genova”, dice alla madre una volta rientrata a casa dove “c’è Fincantieri”. In alcune conversazioni captate dagli investigatori, l’uomo arrivava a minacciare i giudici napoletani che lo hanno messo in carcere. Durante una telefonata dice che i magistrati “non si ricordino dei tempi del 92-93”, in riferimento alle stragi mafiose in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e in un’altra dice che sta scendendo in Campania per “bagnare” (uccidere, ndr) il figlio del magistrato che gli aveva negato la possibilità di spostare l’obbligo di dimora dalla Liguria alla Toscana.

La “principale responsabile” delle “modalità illecite e abusive” con cui “è stato gestito lo smaltimento” degli yacht da parte delle ditte di Capuano, secondo il gip, è la direttrice del porto Marina Scarpino. Per la manager, agli arresti domiciliari, “era fondamentale – scrive il gip – ottenere a qualunque costo la regia operativa e organizzativa dell’intera operazione” tanto da arrivare a minacciare il perito di alcuni armatori che “i lavori di recupero avrebbero pretestuosamente ritardato” facendo quindi “lievitare in modo esorbitante i costi e i tempi di rimozione”.

Ma perché la manager voleva a tutti i costi gestire lo smaltimento? “Alcuni armatori – spiega il gip nell’ordinanza – avevano avviato cause risarcitorie davanti al tribunale civile” perché “ritenevano che l’affondamento delle barche era stato causato anche da un difetto di progettazione e di manutenzione della diga foranea”, realizzata e gestita proprio dalla società che gestiva il porto. L’offerta del servizio “avrebbe potuto servire anche a tacitare le pretese degli armatori”, a carico dei quali era il costo del recupero e dello smaltimento dei relitti.

Scarpino è accusata anche per calunnie e falsi esposti per sviare le indagini e gettare discredito sulle forze dell’ordine e sui sindaci di Rapallo e Santa Margherita Ligure. In tutti i documenti venivano segnalate violazioni che in realtà non c’erano. In particolare nel primo, inviato a luglio dello scorso anno, venivano segnalate gravi inosservanze nella manutenzione e delle strutture e della normativa antinfortunistica dentro il porto di Santa Margherita Ligure così accusando il sindaco, in quanto responsabile dell’area. Altre accuse riguardavano il primo cittadino di Rapallo per il porto pubblico, ma anche la Capitaneria di porto e i carabinieri di omesse denunce e omissioni di atti d’ufficio.

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