Non avrei mai voluto scrivere questa “cerimonia dell’addio”. Sei stato matematico, epistemologo tra i più autorevoli – non solo in Italia – e molto di più. Quella filosofia che ti pulsava ancora nelle vene ti è stata amica intima per una vita intera. “Vivo accanto a filosofia e matematica e non mi sono mai sentito solo”, ripetevi all’unisono. Qualsiasi filosofia vera in un momento tragico come quello della tua brutta malattia rasserena, fa superare il senso di disperazione, stabilisce una zona di pace tra l’uomo e il mondo, tra l’uomo e se stesso. Spero sia stato così anche per te.

Ti piangono in tanti, colleghi, studenti, ex studenti, amici. Ci hai lasciato in compagnia di un’assenza insopportabile. Il mondo della cultura sarà decisamente più povero senza di te. Maneggiavi in maniera lieve concetti complicati. Per te la filosofia non era un concetto astratto, ma una chiave per comprendere il mondo.

Ti piange Roselina Salemi, tua allieva, quando insegnavi all’Università di Catania: “Nelle sue lezioni oltrepassava i rigidi confini tra mondo umanistico e scientifico. Era affascinante sentirlo parlare. L’ho intervistato per il suo saggio Il Tradimento. In Politica, in amore e non solo… dove accostava Topolino a Dante, Shakespeare a Tex Willer, mescolava alta cultura e fumettistica. Contrapponeva Cleopatra a Leopardi analizzando le tante sfumature del tradimento”.

Ti devo tanto Giulio, da una bellissima recensione a doppia firma con Enrico Mannucci a tutta pagina sul Corriere della Sera per Il Sacrificio di Eva Izsak (Chiarelettere) è nata un’amicizia sottovoce. Stavo per iscrivermi alla facoltà di Filosofia alla Statale, ma poi tre anni fa sei andato in pensione e ho lasciato perdere.

Del collega Imre Lakatos di cui hai curato un’antologia riconoscevi il fascino di un serpente a sonagli: “L’aula era strapiena di studenti – scriveva nel gennaio del 1973 Lakatos all’amico Paul Feyerabend sulla sua teoria di pratica scientifica, paragonandosi nientedimeno che al Satana di Milton – Lucifero, l’angelo caduto, è il nome di colui che porta la falsa luce mentre io li avvolgo nelle tenebre della verità”. Hai citato l’episodio a un paio di presentazioni milanesi dove mi facesti da relatore. E del tuo ex compagno di dibattito filosofico, Lakatos, esule ungherese che occupava allora la cattedra di Filosofia della Scienza alla London School of Economics, aggiungevi: “Poveri discepoli, nelle mani di un individuo eccessivo, implacabile”.

E nelle serate a discutere con il tuo maestro Ludovico Geymonat ricordavi di come Lakatos, il filosofo bastardo, avesse “innestato la dialettica di Hegel sul tronco della filosofia della scienza occidentale” (per usare le parole di Feyerabend). Rievocavi con Geymonat episodi della lotta partigiana e sulle regole per le nuove reclute: “Se ti prendono hai una pallottola da loro. Se tradisci hai una pallottola da noi”. E queste parole le riferivi anche a Lakatos che aveva teorizzato che “in caso di cattura ognuno passa idealmente dalla parte del nemico, perché diventa un potenziale traditore.

Rimanesti folgorato dalla storia crudele della mia Eva che insieme a Lakatos faceva parte della stessa cellula comunista di ebrei clandestini durante l’occupazione nazista dell’Ungheria. Eva, vittima di una sorta di “sacrificio, costretta al suicido da Lakatos, condannata a morte proprio da colui che avrebbe dovuto proteggerla”.

Chissà, se come nel dialogo giovanile di Platone, il Fedone, anche tu ti sarai chiesto se può esserci una vita dopo la morte del corpo. Dove si affaccia adesso la tua anima, Giulio? La parte più importante di me non muore, diceva Socrate, ossia la Conoscenza. Il significato del significante di una vita ben spesa dà un lieto morire. E la tua vita decisamente lo è stata. Che la terra ti sia lieve.

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