Sono certamente buone notizie quelle che arrivano dagli Stati Generali che sono in svolgimento da sabato scorso nella bella cornice di Villa Pamphilj a Roma, scelta forse non a caso dal premier Conte per inaugurare una svolta “green” del governo. E per lanciare un programma che punti sulla protezione, ed esaltazione, della splendida bellezza dell’Italia.

Più precisamente, tre sono le linee che il presidente del Consiglio ha indicato per l’Italia: modernizzazione del paese; transizione ecologica; inclusione sociale, territoriale e di genere. Ancora più in particolare, Conte ha definito la transizione ecologica in questi termini: “ridurre drasticamente le emissioni di gas-alteranti in linea con gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo, migliorare l’efficienza energetica dell’economia e la qualità dell’aria nei centri urbani e ripulire le acque interne e marine”.

Sicuramente fa bene sperare un capo del governo che finalmente parla di transizione ecologica. D’altronde, dobbiamo davvero constatare che è il primo della storia repubblicana, e non che negli anni passati siano mancate le ragioni gravi che avrebbero dovuto spingere un premier a impegnarsi sull’ambiente.

Ma senza entrare nel tecnico, e puntando più sull’aspetto di comunicazione politica che mi interessa, non si può notare che il tema del green appare soprattutto parte di una strategia che però ha due limiti. Prima di tutto, senza azioni immediate e concrete, rischia di restare sulla carta: l’esempio lampante è il tema dei sussidi alle fonti fossili, che non è stato per nulla toccato, mentre i Verdi-Europa Verde – che hanno protestato per non essere stati invitati agli Stati Generali – in un comunicato hanno sottolineato che si tratta di una questione cruciale (come si può parlare di svolta green senza procedere a una drastica diminuzione-abolizione di ben 19 miliardi destinati ancora alle fonti fossili?).

In secondo luogo, come d’altronde tutta la comunicazione sull’ambiente dei nostri politici, anche quella di Conte – a differenza di Mattarella, che quando parla di clima ne ricorda l’aspetto tragico – manca di una certa conflittualità, ovvero, detto in altro modo, non mette in evidenza alcune contraddizioni e aspetti drammatici che però esistono.

Ad esempio, siamo sicuri che la svolta green sia così perfettamente in linea con quanto previsto dal piano Colao sulla modernizzazione e la la sburocratizzazione delle grandi opere? Ma soprattutto, Conte si guarda bene dal pronunciare la parola cambiamento climatico. In parte comprensibilmente: il cambiamento climatico, nella brutalità e tragicità del suo manifestarsi, non ha nulla di attrattivo per le persone ed è letteralmente un guastafeste. Infatti mette ansia, e va contro la retorica rassicurante che mette sotto i nostri occhi la bellezza italiana per dire che, in fondo, va tutto bene.

D’altronde, Conte non è il solo, visto che anche i media continuano a parlare poco e nulla di clima. Ha dell’incredibile il fatto che nessun giornale abbia riportato la notizia dell’impegno che il Senato ha preso, la settimana scorsa, approvando alcune mozioni della maggioranza proprio su contrasto al cambiamento climatico (per ora si tratta solo di un impegno, servono ovviamente i fatti).

C’è chi tutto questo però l’ha fatto notare, come il gruppo di attivisti degli Extinction Rebellion, che presso il giardino del teatro della Villa sabato ha messo in scena un sit-in non violento, invitando il governo all'”abbandono dei combustibili fossili, i grandi assenti del summit”. E protestando anche sulla modalità forse elitaria del summit, che ha evitato, sostengono gli XR, un confronto proprio sul tema climatico con le assemblee cittadine: secondo un modello, quello della democrazia deliberativa legata al clima, che si fa sempre più importante nel mondo. Perché a decidere della nostra sorte dobbiamo essere noi.

Si porta a casa comunque qualcosa, tra cui l’impegno europeo proprio sulla transizione ecologica. E d’altronde, se avessimo avuto un governo giallo-verde o completamente verde (purtroppo non nel senso del green), di ambiente ora neanche si parlerebbe, visto che Salvini e Meloni paiono non sapere assolutamente cosa sia il cambiamento climatico (nel 2020).

Tuttavia, un governo serio deve fare molto di più. Affrontando, soprattutto, davanti all’opinione pubblica il nodo del cambiamento climatico, senza paura di parlarne, spiegando invece come tutti dobbiamo fare per contrastarlo. E impegnandosi in misure veramente drastiche su questo fronte.

Vorrei dire con simpatia a Conte che tutelare la bellezza italiana significa soprattutto contrastare il climate change. Perché proprio l’aumento delle temperature mette a rischio il nostro paesaggio, la nostra agricoltura, le nostre città, oltre ovviamente alla salute. È fondamentale allora che si cominci anzitutto ad esserne consapevoli, per poi a fare – ora, subito – un passo deciso e radicale sulla lotta al climate change. Parafrasando uno slogan femminista, se non ora quando?

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