I medici di famiglia al centro, perché “alternative non ce ne sono”. Servizi omogenei per non relegare le eccellenze solo a una parte dei cittadini. E pure: una catena di comando strutturata, aggregazioni funzionali sul territorio e dipartimenti di igiene potenziati. Che in Lombardia la sanità territoriale vada completamente rifondata (leggi qui il focus), lo dice Guido Marinoni, medico di medicina generale e presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo. A inizio aprile, la Federazione FNOMCeO ha inviato una lettera durissima ai vertici della Regione per denunciare l’assenza di strategie ed elencare i fronti da risolvere in vista della fase 2. La prima reazione dell’assessore al Welfare Giulio Gallera è stata accusarli di aver scritto un documento politico, poi due esponenti sono stati inseriti nel comitato tecnico-scientifico. Tra questi c’è appunto Marinoni: “I fatti hanno dimostrato”, dice a ilfattoquotidiano.it, “che la Lombardia, mentre costruiva le eccellenze ospedaliere, negli anni ha abbandonato il territorio. E, nel pieno della crisi, non è più riuscita a gestirlo mentre gli ospedali, almeno fino alla seconda metà di marzo, hanno retto abbastanza”. Ora, garantisce, la Regione ha imparato la lezione: “Ha colto la necessità degli interventi. Solo che per riuscire a farlo bisogna cambiare tutta l’organizzazione, ridisegnare la governance dell’assistenza territoriale e non so fino a che punto ci si riuscirà”. Ovvero andare nella direzione opposta rispetto a quella seguita finora dal modello lombardo. E il tempo stringe: “Per fronteggiare anche solo una presunta seconda ondata di contagi, bisogna partire presto e fare in fretta”. Altrimenti, dice, “a novembre cominceranno le febbri e quindi i dubbi. Il rischio è che scoppi il delirio e si riblocchi l’Italia”. Quindi serve una campagna di vaccinazione antinfluenzale e che parta al più presto. Ma a che punto è il progetto? “E’ stato creato un sottogruppo del comitato, il tavolo di lavoro è partito negli ultimi giorni. Il rischio di arrivare tardi c’è, ma a me sembra che siano determinati”.

“Estendere a tutti le eccellenze” e creare “aggregazioni di medici sul territorio” – Marinoni ha le idee molto chiare. Innanzitutto, spiega, si deve partire “omogeneizzando la medicina di famiglia”: “Negli ultimi anni, sono stati creati progetti di eccellenza, ma non hanno interessato tutti”. Ad esempio: i programmi per la presa in carico dei pazienti cronici (che a dicembre 2019 coinvolgevano il 10% del totale) o i progetti per l’aumento delle ore di ambulatorio dei medici o la presenza di infermieri e personale di studio. “Non è che non sono stati fatti, ma hanno interessato solo una parte dei cittadini lombardi. Dietro tutto questo c’è ovviamente la carenza di medici di famiglia: un problema nazionale, per il quale non è stato fatto un intervento programmatico che consenta almeno la sostituzione di chi va in pensione”. Al secondo punto del piano di riorganizzazione, Marinoni mette l’importanza di rendere più efficiente la catena di comando: “La medicina generale ora è in capo alle Agenzie di tutela della salute (ATS)“, spiega, “e a livello territoriale non è più articolata in distretti che si occupavano delle questioni organizzative. Attualmente il passaggio è dal singolo medico di famiglia al dipartimento ATS e la catena di comando è debole”. Per questo, è la proposta di Marinoni, “bisognerebbe organizzare i medici di famiglia in aggregazioni funzionali territoriali con un preciso referente che si interfacci con ATS e i vari servizi”.

Queste aggregazioni, ispirate a quelle previste dalla legge Balduzzi del 2012, sarebbero pensate come squadre di operatori che controllano piccole porzioni di territorio (tra i 30 e i 50mila abitanti). “Penso ad agglomerati leggeri che facciano lavorare insieme medico, infermiere e assistente sociale. Il decreto Rilancio propone l’infermiere di quartiere? Se non è inserito in un progetto territoriale, rischiamo di creare un’altra entità staccata che si rinchiude nel castello turrito invece di stare nel villaggio tra la gente”. In questo quadro, secondo Marinoni, le USCA (Unità speciali di continuità assistenziale) create dal governo per seguire i pazienti covid a casa, “sono da considerare come una rete d’emergenza temporanea”: “Il problema non è aumentare le USCA, ma fornire i dispositivi ai medici di famiglia così che possano riprendere le visite domiciliari”.

Potenziare i dipartimenti di igiene e prevenzione e ripensare le Rsa – Un’altra debolezza su cui è urgente intervenire, secondo Marinoni, sono i dipartimenti di igiene e prevenzione che nell’emergenza sono implosi: “Sono rimasti all’ATS, per quanto riguarda l’aspetto gestionale e programmatico. Ma al tempo stesso il personale è in carico alle ASST, ovvero le aziende ospedaliere. E’ evidente che affrontare un’emergenza sanitaria come questa sotto il profilo igienistico con la testa da una parte, e le gambe e le braccia dall’altra diventa estremamente difficile”. Infine rimangono le Rsa, “in Lombardia sono tante e di eccellenza, ma sono pensate per socializzare e aprirsi sul territorio alla famiglia. Equilibrare questo aspetto con il necessario isolamento richiederà un percorso non facile”.

I vaccini antinfluenzali per diminuire le febbri: “Altrimenti si rischia il delirio” – La prospettiva è quella di prepararsi, continua Marinoni, “non tanto al ritorno del covid, ma già a quello che succederà in autunno”: “A novembre cominceranno le febbri e quindi i dubbi. Il rischio è che scoppi il delirio. Ipotizziamo che un paziente stia male: alla prima segnalazione mettiamo in quarantena lui e i suoi contatti, poi se riusciamo a fare tamponi in tempi brevi, nel caso in cui il risultato sia negativo, dopo due giorni liberiamo tutti. Altrimenti rischiamo di bloccare l’Italia anche se non c’è più il coronavirus”. Per questo, aggiunge, “sarà una partita importantissima quelle delle vaccinazioni influenzali”, a partire dall’approvvigionamento: “Fare gli antinfuenzali significa diminuire le persone con la febbre e i tamponi da fare”. Si dovrà anche pensare a una nuova organizzazione degli ambulatori, dove le parole d’ordine siano: distanziamento, triage telefonico, accessi più mirati. “Bisognerà partire molto presto, ci vorrà molto tempo. E questo servirà per far fronte anche solo a una possibile seconda ondata”. Va poi potenziato il sistema dell’ADI COVID (assistenza domiciliare) “magari mettendo proprio i medici di famiglia come referenti di strutture che ora sono per lo più infermieristiche”.

E al centro dovrà esserci la piattaforma per il telemonitoraggio, con una centrale tecnica e una sanitaria per controllare i parametri che i pazienti inseriscono da casa: “Nei momenti più critici è saltato tutto, anche la rete delle segnalazioni sia da parte di chi le faceva che di chi le riceveva. Ce ne sono già in uso, attivate da cooperative e messe a disposizione anche agli esterni, la Regione ha deciso di fare un bando per una ulteriore. La cosa importante è che tutte possano interagire con il sistema regionale”.

Le proposte sono tante, il tempo è poco e si chiede un coinvolgimento diretto di medici di famiglia che sono molto frustrati: “E’ normale. Sono state settimane durissime e una situazione più tragica di quella che abbiamo vissuto non riesco a immaginarmela. Le cause della crisi sanitaria sono state tante, ma molte hanno radici territoriali”. Il piano è molto ambizioso, ma cambierà davvero qualcosa? “A me sembra”, conclude Marinoni, “che dalla Regione siano determinati ad andare avanti. Certo non è facile risolvere problemi così complessi in poco tempo, speriamo di riuscirci”.

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