Nuovo capitolo nell’inchiesta finanziaria sul palazzo di Londra acquistato dal Vaticano. Sotto sequestro sono finiti i conti svizzeri intestati al finanziere Raffaele Mincione e quelli di Enrico Crasso, già dirigente del Credit Suisse e ora fondatore e responsabile del fondo maltese Centurion. Ci sono, inoltre, conti personali intestati a Fabrizio Tirabassi, ex minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Ma anche quelli del broker molisano Gianluigi Torzi. Quest’ultimo arrestato dal Vaticano con le accuse gravissime di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio. Reati per i quali la legge dello Stato più piccolo del mondo prevede pene fino a dodici anni di reclusione.

A quanto apprende ilfattoquotidiano.it, al momento né monsignor Alberto Perlasca, né Tirabassi risultano indagati per peculato in concorso con Mincione e Torzi, come era stato ipotizzato. Monsignor Perlasca, all’epoca dei fatti capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato, respinge anche l’accusa di avere conti in Svizzera. Conti che, invece, stando a quanto riporta l’Adnkronos, gli sarebbero stati sequestrati dalla magistratura svizzera su richiesta del pm vaticano.

Tutto ruota intorno all’acquisto dell’immobile londinese di Sloane Avenue e al successivo arrivo del broker molisano, intervenuto nell’affare su richiesta del sostituto della Segreteria di Stato, il venezuelano monsignor Edgar Peña Parra, per risolvere l’impasse della partecipazione della Santa Sede al fondo Athena di Mincione. Ma diventato poi, secondo la procura vaticana, l’uomo in grado di tenere in pugno la Segreteria di Stato fino a riuscire a estorcerle 15 milioni di euro. Torzi, infatti, attualmente detenuto in una cella della caserma della Gendarmeria, attraverso acrobazie finanziarie sarebbe riuscito a trattenere, all’insaputa dei vertici della Santa Sede, mille azioni dell’immobile, le uniche con diritto di voto. Con ciò impedendo di fatto al Vaticano, a cui aveva ceduto 30mila azioni ma senza diritto di voto, di disporre del palazzo di Londra.

Gli inquirenti avrebbero scoperto che nel corso di una riunione per convincere Torzi a cedere le sue azioni e alla quale parteciparono anche monsignor Peña Parra, Giuseppe Maria Milanese che avrebbe agito nell’interesse della Segreteria di Stato, Manuele Intendente, l’avvocato dello studio Ernst &Young, e Renato Giovannini, rettore vicario dell’Università Guglielmo Marconi, il broker si sarebbe detto disponibile a rinunciare, previo risarcimento delle spese e con un piccolo margine di guadagno. Somma che in un successivo incontro venne quantificata in 3 milioni di euro. Tuttavia, nonostante l’accordo verbale, nell’ipotesi investigativa Torzi non avrebbe restituito alla Santa Sede le azioni residue della Gutt Sa. Anzi, la sua strategia al rialzo sarebbe emersa nel corso di una drammatica e lunghissima riunione nello studio di Giovannini, dalla quale sarebbe venuto fuori che più persone erano state coinvolte nell’operazione e che somme di denaro erano state date o promesse anche ad altri.

Ma non è tutto. Dalle indagini emergerebbe anche che Crasso e Tirabassi qualche giorno prima in un incontro a Milano avessero offerto a Torzi 9 milioni di euro per cedere le sue azioni. Una cifra consistente, ritenuta però insufficiente dal broker che, secondo quanto riferito agli investigatori da più testimoni, sarebbe arrivato a ipotizzare la somma di 30 milioni per restituire l’immobile di Londra alla Santa Sede, in un’escalation che avrebbe spinto Giovannini, interrogato dagli inquirenti vaticani, a non poter negare che le richieste del broker molisano avessero i toni di una “estorsione”. Successivamente, nel corso di un incontro con il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Perlasca e Tirabassi avrebbero proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione con Torzi dal cosiddetto Fondo discrezionale, un fondo creato nel 2015 per le spese discrezionali del Papa. Operazione che sarebbe finita nel nulla anche grazie alla mediazione di monsignor Carlino che avrebbe convinto il broker ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si sarebbe consumata l’estorsione.

Durante gli interrogatori, Intendente avrebbe specificato come nel corso di una riunione in Vaticano alla presenza, tra gli altri, di monsignor Perlasca, Torzi avrebbe chiesto se gli si potesse concedere formalmente un incarico di gestione dell’immobile di Londra, visto che fino a quel momento aveva operato a titolo gratuito. Aspettativa che, però, secondo le indagini, rimarrà delusa, ingenerando l’escalation, appunto, che poi porterà a quella che per la procura vaticana è a tutti gli effetti un’estorsione. La svolta nei rapporti sarebbe arrivata nel corso di una riunione all’Hotel Bulgari di Milano. Tirabassi e Crasso avrebbero spiegato a Torzi di aver intenzione di proporre la cessione al fondo Centurion delle quote di Gutt Sa. In quel momento, sempre secondo quanto riferito da Intendente agli investigatori, Torzi avrebbe maturato l’idea dell’estorsione, ossia di condizionare la restituzione delle quote al versamento di un’ingente somma di denaro. Secondo la procura vaticana le ragioni del cambio di posizione di Torzi starebbero altrove e cioè nell’impegno preso dall’imprenditore con il manager della Banca Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, di sottoscrivere un bond di 30 milioni di euro. Per gli inquirenti sarebbe, quindi, la mancata disponibilità del Vaticano a sottoscrivere il bond a scatenare la reazione di Torzi e la sua determinazione a non restituire le azioni della Gutt Sa se non a fronte di una cifra cospicua.

All’Adnkronos il finanziere Mincione sostiene di non doversi difendere da nulla e svela che la Santa Sede ha ricevuto recentemente un’offerta da 300 milioni di euro da un primario developer britannico per il palazzo di Londra. Per Mincione il Vaticano con questa offerta avrebbe ancora un margine di guadagno di 23 milioni di euro rispetto al prezzo pagato inizialmente di 277 milioni di euro. Il finanziere ammette di conoscere Torzi, visto che ha l’ufficio vicino al suo e sono entrambi italiani a Londra, ma quello che è successo tra la Santa Sede e lui “è affar loro”. Per lui il broker molisano è solo “una controparte”. Mincione aggiunge, inoltre che è stato monsignor Peña Parra, che definisce “lo sceriffo del Papa”, a comprare l’edificio e a “scegliere” Torzi come tramite: “C’è una foto di Torzi con il Papa che io ho. Ha avuto questo incarico da Peña Parra messo dal Papa. Uno o due mesi dopo hanno voluto comprarsi il palazzo. Se lo sono comprato, dopodiché casco dalle nuvole. Sono sorpreso. Qualcosa non deve avere funzionato. Peña Parra verrà arrestato immagino insieme a Torzi visto che è lui che ha delegato. Io ho venduto a Peña Parra”.

Twitter: @FrancescoGrana

AGGIORNAMENTO
In relazione alla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue, che vede coinvolti alcuni funzionari della segreteria di Stato vaticana e menziona Manuele Intendente in qualità di avvocato dello Studio Legale e Tributario di Ernst &Young, si precisa che Manuele Intendente ha agito a titolo personale e, in ogni caso, non fa più parte di EY”. E’ quanto precisa EY in una nota

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