La Russia di Putin, la Francia di Macron e il Regno Unito di Johnson. Ma non ci sono soltanto loro: almeno 116 Paesi nel mondo appoggiano la bozza di risoluzione proposta dall’Unione europea per un’inchiesta indipendente sulle origini del coronavirus, presentata durante la 73ma edizione dell’Assemblea mondiale della sanità, l’organo decisionale dell’agenzia Onu, che si tiene tra oggi e domani a Ginevra. A frenare però è la Cina – paese dove ha avuto origine la pandemia – che si è detta disponibile solo ad un’inchiesta dell’Oms e a tempo debito, ovvero superata l’emergenza. Pechino infatti ritiene “prematuro” allo stato l’avvio di un’indagine su origini e diffusione di Covid-19 che finora ha colpito più di 4,7 milioni di persone nel mondo, uccidendone oltre 315mila.

Favorevole alla linea attendista cinese il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che non insiste sull’urgenza dell’avvio di un’inchiesta che, dice, “sarà fatta al primo momento opportuno per valutare l’esperienza e le lezioni imparate e per fare alcune raccomandazioni su come migliorare la preparazione nazionale e globale alla pandemia“. Al centro dell’assemblea anche il caso Taiwan, la “provincia ribelle” caso virtuoso nella gestione dell’epidemia che non è stata invitata dall’Oms dopo le pressioni della Cina. Per l’approvazione della risoluzione occorrono i due terzi della maggioranza: attualmente, scrive Reuters, il testo ha già il supporto di 116 Paesi – inclusi Russia, India, Giappone, Regno Unito, Canada, Indonesia e ovviamente i 27 Stati Ue – su un totale di 194 Stati membri.

Lo schiaffo degli Stati Uniti – Ad attaccare l’Organizzazione intervengono di nuovo gli Stati Uniti: il ministro americano della Sanità Alex Azar, parlando all’assemblea, ribadisce le tesi di Trump secondo cui i vertici dell’organizzazione non sono stati tempestivi nel dare l’allarme a causa delle pressioni della Cina. Ha detto che l’agenzia Onu “ha fallito in modo clamoroso nel fornire le informazioni sulla pandemia, questo non può accadere di nuovo” e che quel fallimento “costa molte vite umane”. L’Oms, ha continuato, “deve cambiare e diventare più trasparente”, e ha annunciato il sostegno degli Usa ad “un’inchiesta indipendente sull’operato” dell’agenzia.

Il caso Taiwan – Al centro dell’assemblea – dove il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha dichiarato in apertura che alcuni Paesi “hanno ignorato le indicazioni dell’Oms” sulla pandemia – il caso Taiwan, che non è stata invitata a partecipare nonostante le richieste e che la Cina considera una “provincia ribelle”. Gli Usa, che hanno congelato i pagamenti all’organizzazione di Ginevra definita tra l’altro da Donald Trump troppo fino-cinese, si sono scontrati con la Cina sul rifiuto opposto alla sua presenza, possibile secondo Pechino solo con il previo riconoscimento del principio della “Unica Cina”, ritenendo l’isola parte del suo territorio destinato alla riunificazione anche con l’uso della forza. Taiwan voleva condividere l’esperienza di successo nella lotta al coronavirus, avendo riportato solo 440 casi e 7 decessi grazie al lavoro di diagnosi e prevenzione. Sia l’Oms sia la Cina hanno ribadito che l’isola ha ricevuto aiuti e informazioni durante la pandemia: fatti che Taipei ha fortemente contestato. Taiwan ha avuto lo status di osservatore alle assemblee dal 2009 al 2016, ma è stata poi bloccata dal veto cinese dopo l’elezione alla presidenza dell’isola di Tsai Ing-wen, ritenuta una promotrice di politiche separatiste.

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