Il cancro, la vita che cambia, la pandemia, Cremona, la Fase 2. E’ un Gianluca Vialli che parla di tutto nell’intervista rilasciata al Guardian. A partire dalla malattia che gli ha cambiato la vita: “Ora so che è necessario liberare il dolore. Non ero particolarmente bravo a mostrare le mie emozioni e ho tenuto le cose dentro. Non è un bene – ha detto l’ex attaccante – Ora mi rendo conto che ogni volta che voglio piangere, piango. Non c’è vergogna. E se vuoi ridere, ridi. Cerco di non piangere di fronte a persone che potrebbero diventare molto emotive. Provo a piangere da solo – ha aggiunto – Quando sono in un posto confortevole, non tengo nulla dentro. L’ho appena fatto uscire e dopo mi sento meglio”. Il rapporto con le lacrime è una delle cose che Vialli dice di aver imparato dalla dura esperienza del cancro.

L’ex centravanti di Sampdoria, Juventus e dell’Italia, bloccato a Londra dalla pandemia, ha parlato anche dei genitori che vivono a Cremona e della difficoltà a dire ai genitori del suo tumore al pancreas quando gli è stato diagnosticato nel 2017. “Senti che stai deludendo qualcuno, come i tuoi genitori. Non vuoi che i tuoi genitori ti vedano soffrire così tanto – ha spiegato – Sono sempre stato percepito come un ragazzo duro. Un ragazzo forte con molta determinazione. Non essere in quella posizione mi rendeva inquieto. Non volevo essere visto come un povero ragazzo con una malattia. Ecco perché non l’ho condiviso ampiamente per 12 mesi”. Il che comporta una serie di controindicazioni: “È anche un peso. Le persone chiamano per mostrarti che stanno pensando a te. Ho pensato che invece di passare il tempo al telefono, avevo bisogno di tempo per me stesso. Ecco perché indossavo un maglione sotto la camicia – ha raccontato – per nascondere che avevo perso così tanto peso. Questi sentimenti sono naturali e rimangono con te per un po’. E poi, almeno nel mio caso, se ne vanno. Il giorno in cui inizi a guardare le cose in modo diverso, la tua vita cambia”.

Adesso, però, la situazione è cambiata: “Ora mostro le mie cicatrici con orgoglio. Sono un segno di ciò che ho passato” ha sottolineato Vialli, che non ha nascosto quanto la malattia lo abbia cambiato come persona negli ultimi 3 anni. “I miei amici, persone che erano a conoscenza della mia condizione, mi hanno detto: ‘Dai, vincerai questa battaglia. Puoi sconfiggere il cancro’ – ha detto – Ho sempre pensato di non voler combattere il cancro, perché è un nemico troppo grande e potente, ho sentito tutto questo come un viaggio. Si tratta di viaggiare con un compagno indesiderato fino a quando, si spera, non si annoi e muoia prima di me”.

Nel frattempo è arrivata la pandemia legata al coronavirus: “Per me è stato difficile perché vengo da Cremona, la città probabilmente con il più alto tasso di mortalità nella regione – ha detto – In un certo senso sento che dovrei essere lì con la mia gente. Mi sono sentito così male a leggere che le persone morivano in ospedale senza i loro cari. È una tragedia. Stare a casa a Chelsea non è un problema. Posso lavorare da remoto – ha aggiunto – Posso andare a piedi al parco. Mia moglie e le mie figlie sono qui ed è bello stare con loro. A Londra conosco solo due persone che sono positive. Grazie a Dio – ha detto ancora – non ho perso nessuno che conosco in questo paese. Ma a Cremona è diverso dove ci sono solo 80mila persone. Londra ha sei milioni di persone. Lo senti di più in un posto più piccolo”.

Non poteva mancare un riferimento alla ripresa del calcio. “In momenti di dolore, e quando stai attraversando una situazione difficile come questa – ha detto Vialli – alcuni psicologi affermano che dovremmo provare a fare cose che ci danno piacere senza sentirci in colpa. Quindi, se il calcio potesse essere uno strumento per dare alle persone un po di sollievo, non vedo l’ora che arrivi. Posso solo immaginare cosa provano i giocatori, posso dargli consigli quando si infortunano o se discutono col mister – ha concluso – ma in una situazione come questa non saprei cosa dirgli. Se fossi ancora un giocatore, probabilmente avrei difficoltà a concentrarmi sul calcio perché le persone stanno ancora morendo”.

Articolo Precedente

16 maggio 1982: l’ultimo turno più pazzo della storia. L’harakiri del Milan, retrocesso in B. E nasce il gemellaggio tra Napoli e Genoa

next
Articolo Successivo

Giuseppe Giannini e quel triste addio alla Roma: il 17 maggio 2000 gli ultras rovinarono la partita di saluto. E l’anno dopo fu scudetto

next