La sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe è stata vivisezionata, interpretata, dibattuta soprattutto con riferimento al tema del Quantitative easing: il che è, tutto sommato, comprensibile. Infatti, l’oggetto del contendere era proprio la “legittimità” del famoso bazooka di Mario Draghi. Ma quasi tutti si sono interrogati sugli effetti del verdetto: potremo ancora contare sull’ombrello della Bce? Pochi, invece, sulle sue motivazioni.

Eppure, una delle domande cruciali da porsi dovrebbe essere: la Corte di Karlsruhe ha torto o ragione, in punto di diritto? Secondo noi ha due volte ragione: sia quando afferma che il diritto costituzionale tedesco non consente un’intrusione illimitata del diritto comunitario (e delle pronunce dei suoi massimi organi giurisdizionali) nel proprio ordinamento interno, sia quando sostiene che le operazioni di acquisto di titoli poliennali del debito pubblico sui mercati secondari, da parte della Bce, violano il principio di “proporzionalità” dell’articolo 5 del Tue.

Quanto al primo aspetto, l’articolo 19 della Costituzione tedesca recita che “i limiti ai diritti fondamentali possono essere solo introdotti in modo espresso” e “in nessun caso il diritto fondamentale può essere leso nel suo nucleo essenziale”. Quindi, la Corte di Giustizia dell’Unione non può pensare a una “incondizionata” e “sistematica” prevalenza delle sue sentenze sui principi “chiave” dell’ordinamento giuridico tedesco o rispetto alle pronunce della Corte di Karlsruhe.

È un dato di fatto con cui sia la Commissione di Bruxelles sia la Corte di Giustizia con sede in Lussemburgo farebbero bene a confrontarsi: non solo ogni pazienza, ma anche ogni costruzione giuridica ha un limite. E questo, ricordiamocelo, vale anche per l’Italia.

Veniamo ora all’altra faccenda: la violazione dell’articolo 5 del Tue relativo alla “proporzionalità”. Pure in questo caso, i magistrati in rosso ci hanno “preso”. Infatti – letto alla luce di una norma fondamentale del Tfue come l’articolo 123 – il famoso Quantitative easing non pare affatto congruo (nel suo enorme volume di fuoco) se rapportato al mai raggiunto (e unico) obbiettivo della Bce: una inflazione sotto il due per cento. Inoltre, esso sembra ben poco conforme alle regole vigenti. Pare, piuttosto, rubricabile alla stregua di una eccezione alle regole.

Diciamo pure che Draghi ha “salvato l’euro” (come affermano molti suoi accesi supporter) non già valorizzando le norme dei trattati, ma piuttosto interpretandole in modo assai estensivo, per non dire creativo, e altrettanto utile in funzione anti-speculativa rispetto ai debiti sovrani.

Tuttavia, chi può negare si tratti di una “agevolazione creditizia” – sia pure indiretta e non dichiarata – a favore degli Stati (in quanto tale, vietata dal succitato articolo 123)? E allora la Corte teutonica ha buon gioco nel ricordare che un tipo di “aiuto” del genere (soprattutto se permanente) non è ammissibile; perché è un modo surrettizio di aggirare il tassativo disposto di un autentico pilastro normativo dell’intero euro-sistema.

Ciò premesso, dire che i magistrati di Karlsruhe hanno ragione non significa riconoscere che il sistema normativo di cui si sono occupati sia “giusto”. Anzi, è profondamente “sbagliato”, benché ineccepibilmente “legale” sul piano della forma. Il problema, insomma, non sono i giudici tedeschi, i quali sono fedeli ai trattati persino più della Corte di Giustizia, ma le regole a cui ci siamo assoggettati entrando nella Ue.

Oggi – nel pieno di una micidiale (e imprevista) crisi sanitaria – anche i più convinti liberisti esigono un sollecito intervento pubblico. La Corte tedesca ci ricorda che attenderselo dalla Banca Centrale Europea – quantomeno in “questa” Europa – non è corretto. Tutti i trattati sono stati concepiti e redatti secondo una logica ben precisa.

E cioè la riduzione del ruolo dei pubblici poteri al minimo indispensabile: un “minimum” consistente nel fissare i paletti entro i quali le “forze” e le “energie” del mercato, quindi delle imprese reciprocamente in competizione, possano dispiegarsi senza gli intralci interventisti della mano pubblica. Il filosofo del Novecento che per primo, con largo anticipo e con singolare preveggenza, capì ciò a cui saremmo andati incontro inseguendo i pifferai del neoliberismo fu Michel Foucault.

Egli sintetizzò così la ratio della filosofia sul cui calco sono state modellate le norme della Ue e dell’euro: “Uno Stato sotto la sorveglianza del Mercato, anziché un Mercato sotto la sorveglianza dello Stato”. In questa cornice, una banca centrale come la vorremmo noi non solo non è prevista (e, dunque, è illegale), ma non ha neppure senso.

I giudici di Karlsruhe sembrano dirci: avete voluto la bicicletta? Adesso pedalate. E noi, anziché prendercela con il meccanico che si rifiuta di “aggiustarla” , dovremmo prendercela con chi l’ha costruita così “dannosa”. E anche con chi l’ha comprata a scatola chiusa e ce l’ha poi venduta come il più benefico dei regali.

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