“Stop Football. No football without fans”. Anche gli ultras dicono la loro nel dibattito sulla ripresa del campionato. Quasi 200 gruppi delle tifoserie organizzate di squadre dalla Serie A fino ai campionati regionali insieme a un centinaio di gruppi europei – da Spagna, Germania, Francia e altri Stati – hanno sottoscritto un documento contro la ripartenza dei tornei nella fase 2 della pandemia da coronavirus. “Riteniamo più che ragionevole pensare ad uno stop assoluto del calcio europeo”, sostengono. A sottoscrivere l’appello ci sono la Curva Nord dell’Atalanta, gli ultras di Brescia, gruppi juventini come i Viking e i Nab, la Curva A e B del Napoli, ma anche altre realtà legate a Genoa e Sampdoria, Parma, Spal e Udinese, solo per rimanere nella massima serie. Assenti, invece, le sigle di Milan, Inter, Roma e Lazio.

Questa presa di posizione rivela una tendenza diversa da quella emersa dall’Organismo di monitoraggio delle infiltrazioni criminali sull’emergenza Covid, voluto dal capo della Polizia di Stato Franco Gabrielli. Secondo esperti e investigatori ci sono rischi che estremisti politici e ultras cavalchino l’insofferenza per le limitazioni imposte dalle misure anti-Covid: “Evidenze investigative attestano lo studio, da parte di alcune tifoserie, di iniziative di contestazione, anche di piazza, nel caso di prosieguo del blocco dei campionati”, è scritto in una relazione. Il documento firmato dagli ultras esprime un pensiero contrario all’avvio, soprattutto senza i tifosi sugli spalti.

I 180 gruppi ultras italiani e 90 stranieri sono “convinti che a scendere in campo sarebbero solo ed esclusivamente gli interessi economici e questo viene confermato dal fatto che il campionato dovrebbe ripartire a porte chiuse, senza il cuore pulsante di questo ‘sport popolare’: i tifosi – scrivono – Ci è più che lecito pensare che, ancora una volta, la supremazia del denaro vada a calpestare così il valore della vita umana”. Messaggi di questo tenore sono apparsi fuori dagli impianti sportivi anche negli ultimi giorni.

Martedì gli ultras dell’Atalanta hanno appeso al cancello dello stadio di Bergamo uno striscione per dire: “Il nostro dolore volete dimenticare. Ma senza la sua gente (della città, ndr) non ha senso tornare a giocare”. Già il 26 marzo scorso il leader della curva Claudio “Bocia” Galimberti, assente da anni dalle gradinate per via dei Daspo, aveva scritto al presidente del club Antonio Percassi ipotizzando lo stop del campionato dell’Atalanta, nonostante l’ottima annata: “Ora esultare per un gol di Gomez non ha più senso – scriveva il “Bocia” – Vorrebbe dire essere egoisti e non rispettare la Bergamo che ci ha lasciato tragicamente e quella che deve ancora piangere!”. Lunedì a Torino, fuori dallo stadio Filadelfia, gli Ultras Granata hanno esposto due striscioni contrari alla ripartenza: “Migliaia di morti in ogni città. Ma voi pensate alla ripresa della serie A”, era scritto sul primo, mentre sul secondo si leggeva: “Il vero virus da debellare siete voi che volete tornare a giocare”.

Nell’appello che sta circolando su Internet i gruppi firmatari sottolineano come il calcio oggi sia “considerato più come ‘un’industria’ che come uno sport; dove le pay-tv tengono sotto scacco le società, alimentandole con i propri diritti televisivi, permettendo così alle società stesse di poter pagare stipendi spropositati ai calciatori e alimentando a loro volta la sete di denaro di procuratori squali”. E rigettano anche le ipotesi emerse in alcuni giornali, quelle per cui i gruppi ultras spingono “per una ripartenza dei campionati” per poter “lucrare” su biglietti e merchandising.

La loro però non è una chiusura netta: “Siamo pronti a confrontarci con chi di dovere per riportare il calcio ai suoi albori, per tornare a vivere la nostra più grande passione in prima persona, per far in modo che questo torni ad essere ‘uno sport popolare’”.

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