La Reggina è impegnata in un’amichevole infrasettimanale con la Nazionale Militare. Calcio di rigore per la formazione di serie B, lo specialista Ricardo Paciocco dal dischetto non lascia scampo al portiere avversario Luca Marchegiani. Realizza di rabona, cioè incrociando i due piedi al momento del tiro. Il portiere, allora di proprietà del Torino, non apprezza il gesto e lo fa notare all’attaccante. Finita la partita in spogliatoio anche l’allenatore della Reggina Bruno Bolchi rimprovera il suo calciatore: “Pacio, non si fanno queste cose, è una presa in giro nei confronti dell’avversario”. “Mister, ho sempre fatto la rabona in allenamento e se mi capiterà l’occasione, tirerò un rigore così anche in campionato”.

Pochi giorni dopo la Reggina gioca contro la Triestina. Siamo agli sgoccioli del torneo, la squadra è in corsa per la promozione in serie A. Sull’1-1 l’arbitro fischia un calcio di rigore per gli amaranto, mancano 15 minuti alla fine della partita. È il 13 maggio 1990. Va sul pallone Paciocco, il suo piede preferito è il destro eppure si posiziona come dovesse tirare con l’altro.
“Tira il rigore di sinistro?”, chiede il mister a quelli che stanno in panchina con lui.
“Fa la rabona”, azzarda qualcuno.
L’arbitro fischia, mentre Bolchi urla: “Nooooooo….”
Di rabona Paciocco realizza dal dischetto il gol decisivo, la Reggina vince la partita e può ancora conquistare la A (alla fine non ci riuscirà). Trent’anni fa venne realizzato il primo rigore di rabona nella storia del calcio professionistico italiano.

“Per alcuni secondi allo stadio ci fu un silenzio assoluto – racconta oggi Paciocco – l’arbitro ci mise un po’ per capire se il gol fosse valido, lo stadio ammutolì, i compagni prima di venire a festeggiarmi rimasero perplessi”. Su Youtube esiste la telecronaca del rigore, ma non è segnalato il modo in cui viene realizzato. Non si è accorto nemmeno il giornalista. In effetti la rabona è molto stretta, al momento del tiro i due piedi quasi si toccano e si fatica a capire se Ricardo abbia calciato di destro o di sinistro.

“Io ero un ribelle per quanto riguarda la scelta delle giocate. Come allenatori ho avuto sia Fascetti che Mazzone, a entrambi sono ancora legato. Si arrabbiavano sempre molto per le mie rabone e i colpi di tacco. Allora venivano considerati gesti di sfottò”.

Ricardo (con una C sola) è nato a Valencia in Venezuela da padre abruzzese e madre argentina. Ritornato presto in Italia, si è dedicato al ciclismo, sport nel quale era una promessa. Poi a 15 anni lo vedono giocare nella piazza del paese con gli amici e qualcuno con l’occhio lungo gli chiede di entrare nel River Chieti. Da lì la sua carriera è fulminante. Dopo un anno va al Torino, vincendo subito il campionato Primavera. Nel 1983 a ventidue anni è al Milan di Ilario Castagner, ma la sua carriera si sviluppa successivamente soprattutto in B, dove con il Lecce viene promosso in A e vince il titolo di capocannoniere. Paciocco è un centravanti “sudamericano” molto tecnico, in campo non tira mai indietro la gamba. Arriva probabilmente da quelle terre anche il gusto per le sue giocate così folli.

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