Il ministro della giustizia e i suoi collaboratori stanno pensando al modo di riportare in carcere i tanti detenuti mafiosi che, grazie al coronavirus, sono riusciti a ottenere i domiciliari. In via Arenula si ragiona su un vincolo normativo che riporti gli ex detenuti al 41bis e nei reparti di Alta sicurezza davanti ai giudici di Sorveglianza. La notizia viene confermata al fattoquotidiano.it da fonti auterevoli del ministero.

Il criterio: “L’emergenza sanitaria è cambiata” – Ma in che modo il legislatore può influire su una decisione già presa dai tribunali di Sorveglianza di tutto il Paese? Il criterio è semplice: gli arresti domiciliari ai mafiosi sono stati concessi dai magistrati perché nelle carceri, a leggere i provvedimenti, c’era un alto rischio contagio. Per alcuni giudici, come quelli che hanno scarcerato Pasquale Zagaria, il rischio di contrarre il coronavirus era concreto persino nei reparti di 41bis, il cosiddetto “carcere impermiabile”. Per altri, come quelli che invece hanno rigettato la richiesta di Nitto Santapaola, il carcere duro protegge dal pericolo di prendere il Covid-19. In ogni caso su questo punto il pensiero del guardasigilli è semplice: “L’indipendenza dei giudici di sorveglianza è sacra, applicano la legge. Ma le leggi le scriviamo noi. I domiciliari sono stati concessi per l’emergenza sanitaria. Ma le condizioni ora sono cambiate“. La curva del contagio è scesa, nel Paese è cominciata la Fase 2 e quindi il livello d’emergenza è da considerarsi minore anche dentro ai penitenziari. Una distinzione fondamentale visto che proprio l’epidemia viene spesso indicata nei provvedimenti dei giudici di sorveglianza come causa principale per la concessione dei domiciliari. “E’ in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis”, ha spiegato il guardasigilli nell’aula della Camera.

De Raho: “Ottima soluzione” – L’idea sul tavolo del ministero ha raccolto il parere favorevole del procuratore nazionale Antimafia. “Il ministro Bonafede rimanderà in carcere tutti i boss scarcerati? E’ un quadro che il ministro della Giustizia sta approfondendo, probabilmente laddove ci sono aperture mi sembra un’ottima soluzione potere individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possono rientrare in carcere”, ha detto Federico Cafiero De Raho. “Evidentemente – ha aggiunto – andranno rivalutate tutte quante le posizioni dei detenuti e laddove c’è la possibilità di una impugnazione, probabilmente rappresenterà che sono disponibili i posti nei centri ospedalieri. Ma bisognerà vedere, poi, se il magistrato accoglierà le istanze che dovrebbero comunque arrivare dai procuratori generali o distrettuali che seguono la procedura esecutiva”.

I boss scarcerati: da Bonura a Zagaria – Non è ancora chiaro dove sarà inserito questo “vincolo normativo“. In un decreto legge? In una norma ad hoc inserito in un altro provvedimento? Al ministero sono al lavoro in queste ore. Un periodo convulso per il guardasigilli, dopo settimane di polemiche per le rivolte nelle carceri e le successive scarcerazioni di boss autorevoli. A causa del rischio contagio sommato a cattive condizioni di salute hanno guadagnano i domiciliari 376 mafiosi e boss della droga, molti detenuti nei reparti di Alta sicurezza, tre addirittura al 41bis. Si tratta del colonnello di Bernardo Provenzano, Francesco Bonura, della mente economica dei Casalesi, Zagaria (che poteva essere curato in un altro carcere, ma il Dap, secondo il giudice, non indicò per tempo un penitenziario adatto), dell’uomo di ‘ndrangheta Vincenzo Iannazzo. Recentemente ha ottenuto i domiciliari anche Cataldo Franco, condannato all’ergastolo per essere stati tra i carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e poi sciolto nell’acido.

Il caos al Dap, lo scontro con Di Matteo – Lo sterminato elenco dei boss scarcerati ha provocato aspre critiche che hanno travolto i vertici del Dipartimento amministrazione penitenziaria con le dimissioni del capo Francesco Basentini, sostituito da Dino Petralia e da Roberto Tartaglia come vice direttore. Su questo fronte si è aggiunto lo scontro in diretta televisiva tra Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo, proprio per la nomina a capo del Dap proposta dal ministro al magistrato nel 2018 e poi ritirata. In questo senso le riunioni a tappe forzate convocate dal guardasigilli per riportare in carcere i mafiosi equivalgono a un vero e proprio colpo di reni, una reazione per rispondere agli attacchi dell’opposizione che da giorni discute di una mozione di sfiducia sfruttando lo scontro con Di Matteo. Bonafede è atteso al question time della Camera alle 15 per rispondere a un’interrogazione di Forza Italia proprio sul caso sollevato dal magistrato antimafia.

Il precedente del decreto Martelli-Falcone – Un provvedimento del genere ricorda il decreto legge varato nel 1991 dall’allora guardasigilli Claudio Martelli e da Giovanni Falcone, all’epoca fresco direttore degli affari penali del ministero. Erano praticamente scaduti i termini di custodia per i mafiosi condannati al Maxiprocesso, una sentenza emessa dalla prima sezione della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale – il giudice noto come “l’ammazzasentenza – aveva concesso il liberi tutti per 43 imputati del Maxi. In libertà stava per tornare anche Michele Greco, il Papa di Cosa nostra, ma il governo intervenne: un decreto approvato in poche ore riportò in carcere il gotha della Piovra in attesa della sentenza della Cassazione. Che arrivò il 30 gennaio del 1992 e rese definitivo per la prima volta il carcere a vita per i capimafia.

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