A Guadalajara, la Perla dell’Occidente cantata nelle canzoni di Jorge Negrete, tutto trasuda di storia. Anche nel calcio: le due più importanti squadre cittadine, per dire, si affrontano nel Clásico Tapatío, il più antico e romantico del calcio messicano. Una rivalità atavica: da una parte c’è il Club Deportivo Guadalajara, squadra del cuore della classe operaia che si vanta di scendere in campo sempre e solo con “puros mexicanos”; dall’altra Atlas, fondata da studenti ritornati da esperienze all’estero e diventata sin da subito il feticcio della borghesia.

Il Clásico, va da sé, è stata una conseguenza inevitabile, anche se per incendiarlo c’è voluto l’intervento di un giornalista. Si chiamava Reynaldo Martín, scriveva per El Informador, il quotidiano più popolare della città, ed era un hincha fanatico dell’Atlas. Un giorno qualcuno ebbe l’idea di commissionargli un servizio su una gara tra il C.D. Guadalajara e il Tampico: tra mille sofferenze i biancorossi vinsero a malapena 1-0 contro una formazione infinitamente più modesta. Un’occasione troppo ghiotta per non lanciare una stoccata ai nemici giurati: all’indomani scrisse che i giocatori del Deportivo Guadalajara gli erano sembrati come un branco di “chivas“, capre, vaganti apparentemente senza meta per il campo.

Martín credeva di avergli fatto un dispetto, ma i chiverios lo spiazzarono, adottando quell’appellativo pure con un certo orgoglio: “¡Sí, somos Chivas y qué! ¡Decir Chivas es decir Guadalajara“, era il motto preferito di Jaime “Tubo” Gómez, il leggendario portiere del Guadalajara. Un personaggio stravagante, che solamente qualche anno più tardi si sarebbe reso protagonista di una prodezza ancora più epica, regalando uno dei siparietti più surreali ed emblematici della storia del calcio messicano. Era il 24 aprile del 1955, quando Chivas e Atlas si trovarono di fronte nella finale di una competizione locale, la Copa Oro de Occidente. I rossoneri avevano dominato il torneo di Segunda Division e centrato la promozione, mentre il Rebaño Sagrado era arrivato secondo, sfiorando la vittoria del titolo. Al Parque Oro, gremitissimo, c’erano vecchi conti da regolare. I Chiverios avevano il dente avvelenato. Quattro anni prima, esattamente il 21 Aprile 1951, infatti, l’Atlas aveva conquistato il suo primo (e finora unico) titolo messicano proprio sotto il naso degli acerrimi rivali, battuti grazie ad un rigore trasformato dal costaricense Edwin Cubero. Il Chivas non aveva mai dimenticato quell’affronto e da quattro anni Gómez bramava la sua personale vendetta.

Quando, dopo appena un quarto d’ora il Chivas si ritrovò in vantaggio di quattro reti, il portiere biancorosso cominciò a ridersela di gusto, venendo bersagliato dagli insulti dei tifosi rojigneros comprensibilmente imbufaliti. Il Tubo, soprannominato così perché quando giocava a pallavolo colpiva la palla in maniera talmente violenta che ad un giornalista de l’Informador pareva che lo facesse servendosi di un tubo di ferro, fino a quel momento era rimasto totalmente inoperoso. C’era solo quel fastidioso ronzio che gli fracassava i timpani, e che non vedeva l’ora di scrollarsi di dosso. Annoiato, decise di farla pagare a chi lo stava dileggiando gratuitamente. Il piano messo a punto da Gómez era tanto perfido quanto geniale: improvvisamente strappò dalle mani di un tifoso alle sue spalle una copia sgualcita di Memin Pingüin, un’iconica rivista messicana di historietas e si accovacciò vicino al palo destro, appoggiandosi per stare più comodo. Subito dopo iniziò beatamente a sfogliarla, proprio come se fosse nel salotto di casa sua, quasi a dire che “non segnate nemmeno a porta vuota”. Fortuna volle che Bartolomé Ornelas, uno dei più celebri fotografi sportivi dell’epoca, riuscì ad immortalare quella scena, una delle più bizzarre mai viste su un campo da calcio.

Nella ripresa il Chivas arrotondò il risultato, completando una manita da sogno, ma il ribelle Gómez si era già consegnato alla leggenda: “L’Atlas stava particolarmente antipatico al Tubo. Una volta mi disse che ce l’aveva con loro perché lo avevano scartato da giovane”, ha ricordato l’altrettanto mitologico Jésus Del Muro, suo compagno di squadra in nazionale. Il Tubo, però, non aveva considerato il contrappasso. Qualche mese più tardi, durante un altro Clásico Tapatío in cui stavolta il Chivas stava perdendo, un tifoso dell’Atlas superò le recinzioni e saltò improvvisamente in campo. Aveva in mano una rivista e la consegnò ad un incredulo Gómez per prenderlo in giro: “Dai, fammi vedere come adesso continui a leggere“, gli disse provocandolo con aria di sfida.

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