Due anni fa la Cassazione decise: i ministeri della Difesa e dei Trasporti dovevano risarcire Itavia, la compagnia che fallì in seguito all’abbattimento del Dc9 partito da Bologna e diretto a Palermo. La Corte d’Appello di Roma con una sentenza pubblicata ieri, come riporta Il Sole24ore, ha condannato i due dicasteri a pagare 330 milioni di euro.

Il 27 giugno del 1980 il veivolo esplose portandosi via la vita di 81 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio. I magistrati hanno quantificato, su richiesta della Cassazione, il danno aggiuntivo subito dalla società a causa dello stop della flotta aerea e della revoca della concessione successiva alla strage. Nel 2018, infatti, il risarcimento era stato quantificato in 265 milioni da una sentenza definitiva, che però liquidiva solo il danno per la caduta del Dc9. La causa contro i due dicasteri, colpevoli, secondo la sentenza, di non aver garantito la sicurezza dei cieli, sono stati gli amministratori straordinari della società, rappresentata dallo studio dell’avvocato Giuseppe Alessi e ad adiuvandum, in quanto soggetti interessati a sostenerne le ragioni, Luisa Davanzali e Finnat Fiduciaria, soci che insieme rappresentano il 69 per cento della società. La suprema corte aveva motivato la decisione stabilendo che era stata omessa “l’attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”.

La sospensione delle attività di volo per la compagnia Itavia avvenne il 10 dicembre del 1980, mentre con due successivi decreti datati 16 dicembre 1980 e 23 gennaio 1981, l’Autorità aeronautica dichiarò decaduti i servizi di linea e decise la risoluzione delle convenzioni esistenti. Se l’unico processo penale per la strage di Ustica, quello ai quattro generali dell’Aeronautica accusati di depistaggio (Lamberto Bartolucci, morto nel febbraio scorso, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo), si è concluso con l’assoluzione definitiva e l’esclusione di un abbattimento in volo del Dc9 da parte di un missile, i procedimenti civili sono giunti a una conclusione opposta, quella di un missile che avrebbe centrato in pieno il velivolo civile causandone l’esplosione in volo.

Da qui la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti per non aver garantito la sicurezza nei cieli e la condanna a risarcire Itavia con 33,1 milioni di euro, che attualizzati diventano, appunto, 330. La rivalutazione, scrivono i giudici, “mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato ponendosi nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato” e tiene contemporaneamente conto della “natura compensativa del lucro cessante subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento, la quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario”.

“È l’ennesima sentenza che, confermando le conclusioni in sede penale del giudice Priore secondo le quali il Dc9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra, continua a condannare i ministeri dei Trasporti, per non aver controllato, e della Difesa perché alcuni dipendenti hanno impedito alla verità di farsi luce – dice Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione parenti vittime della strage di Ustica – Già in diversi gradi di giudizio Itavia ha vinto. Ciò vuol dire che è ben chiaro che il fallimento di Itavia è tutto da addebitare ad organi dello Stato”. “La verità c’è ed è che è stato abbattuto un aereo civile, una verità conquistata visto che all’inizio si era parlato di un ‘cedimento strutturale'” mentre “dieci anni dopo si sono inventati la bomba”, ha aggiunto Bonfietti aggiungendo che “nessuno tiene conto che ci hanno raccontato balle”, ma alla fine si è arrivati alla verità su ciò che è accaduto.

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