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di Antonio Iusto

Anche nelle epidemie del passato le persone, travolte da paura e insicurezza, si saranno chieste se il mondo non sarebbe stato più lo stesso e se gli uomini sarebbero cambiati: in peggio, per la miseria e i disordini sociali; o in meglio, per la ritrovata fede in Dio e nella sua onnipotenza. E si può anche immaginare quanto avrebbero quelle persone preferito tornare alle perdute sicurezze di prima, sebbene il prima non fosse certamente stato privo di incertezze e paure. La paura più grande, infatti, scaccia quella più piccola.

Per prevedere oggi lo scenario sociale futuro, più o meno remoto, è necessario tenere conto del fattore che più di tutti in questa epoca ha influenzato ed indirizzato importanti cambiamenti economici, sociali e psicologici: la tecnologia.

Ci sono applicazioni tecnologiche che da anni si stanno gradualmente espandendo nel tessuto sociale e che potrebbero trovare in questa emergenza una spinta determinante verso una accelerazione; una occasione unica per conquistare spazi velocemente in modo incontrollato ed ingovernato. Tre soprattutto: la capacità globale di connessione digitale remota e di raccolta dati, l’intelligenza artificiale e i robot.

Alla prima ci stavamo già gradualmente abituando e mai come in queste settimane sta ottenendo un generale riconoscimento e una deferente ovazione, offuscando di colpo molte precedenti riserve. Le ricerche sui robot e l’intelligenza artificiale d’altro canto hanno ricevuto in questi anni svariati miliardi di investimenti, ma le loro più innovative applicazioni non hanno ancora potuto occupare, nel mercato di massa, lo spazio che potrebbero e che alcuni certamente vorrebbero, limitandosi ad inserirsi gradualmente in contesti industriali per ottimizzare tempi, costi e produzione.

Una schiera di robot connessi alla rete e dotati di AI potrebbero entrare in scena per soppiantare compiti sia nell’ambito produttivo che in quello dei servizi. Anche i veicoli di trasporto sono ad un passo dall’essere a guida autonoma. Ove poi l’apporto umano resti necessario, esso potrebbe, almeno in molti casi, essere sostituito da veri umani connessi comodamente da casa nella funzione di meri terminali di una complessa macchina della quale gestire piccoli frammenti.

Già in queste settimane si sono visti, discretamente, robot che circolavano nelle corsie di ospedali cinesi accudendo i malati; e si sono potuti apprezzare robot che, diligentemente e ordinatamente, sostenevano esami di laurea al posto degli studenti che li teleguidavano comodamente da casa.

La retorica sottesa è quella del robot buono che, essendo immune al virus cattivo, svolge il lavoro al posto degli umani preservandoli dal pericolo della contaminazione.

Ma allora – il passo è breve – se il virus continuasse a circolare, perché non inserirli in tutti quei contesti in cui si dovrebbe riprendere la produzione necessaria a far ripartire l’economia, senza le complicazioni dei pericoli di contaminazione e dei metri di distanza? A maggior ragione oggi che, sulla soglia di una quasi certa forte crisi economica, molte aziende avranno difficoltà finanziarie.
Si dice che le innovazioni tecnologiche eliminano posti di lavoro ma ne creano nuovi e differenti. Chi si adatta sopravvive.

Parte dei lavoratori che sono già chiusi in casa a lavorare in modo “smart” potrebbero restare a casa; altri potrebbero teleguidare robot sempre più “intelligenti”. La scuola, la medicina, i rapporti sociali si stanno già sperimentalmente sistemando, ancora una volta comodamente, al di là del monitor. E quelli che non potranno adattarsi al nuovo ambiente potrebbero beneficiare del reddito universale di base, anche loro comodamente a casa, così da non creare tensioni sociali. E tutti saremo preservati dal virus. Protetti e felici.

Quindi forse, con un po’ di pazienza, potremo tornare a sognare tranquilli. E qualora il futuro invece un poco ci inquietasse, non è il momento di pensarci. La paura più grande scaccia quella più piccola.

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