Durante una conferenza stampa, venerdì, lo U.S. Surgeon General Jerome Adams – la persona a capo dei servizi sanitari per l’amministrazione – ha detto che “neri, latini, gente di colore dovrebbero evitare alcool, tabacco, droghe” per bloccare la diffusione del Covid-19. “Abbiamo bisogno che vi assumiate le vostre responsabilità – ha detto Adams -. Fatelo per la vostra abuela, per il vostro grandaddy, per la vostra Big Mama” (tutti modi per designare, nelle varie comunità, il/la patriarca di famiglia). Le affermazioni di Jerome Adams, che è afro-americano, hanno sollevato molte critiche, anche aperto sdegno. Ancora una volta, le minoranze etniche sono associate a forme di dipendenza e comportamenti negativi.

In realtà il quadro è molto più complesso e non certo limitato all’uso di alcool e droghe. Negli Stati Uniti si continua a morire, e molto, per il coronavirus: le vittime sono ormai ben oltre le 20mila. È però vero che la comunità afro-americana è quella più colpita. A Chicago, per esempio, i neri sono il 30 per cento della popolazione ma rappresentano il 70 per cento delle morti per coronavirus – e circa la metà dei casi di contagio. “Sono numeri che ci tolgono il respiro”, ha detto la sindaca della città, Lori Lightfoot. In Lousiana meno di un terzo della popolazione è nera, ma il 70 per cento dei morti sono neri. In Alabama situazione simile: il 27 per cento dei residenti è afro-americano, la metà dei morti sono afro-americani. Detroit, che è una città nera all’80 per cento, è una delle aree con la più alta densità di morti per Covid-19 in tutti gli Stati Uniti. Più difficile valutare la situazione a New York. In città, secondo i primi dati pubblicati l’8 aprile, neri e latini muoiono con percentuali quattro/cinque volte superiori rispetto ai bianchi. “Le diseguaglianze che hanno piagato questa città, questa nazione, stanno ancora causando dolore e colpiscono le vite di innocenti – ha detto il sindaco di New York City, Bill de Blasio -. È disgustoso. È preoccupante. È sbagliato”.

Il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo ha chiamato il Covid-19 “il grande equalizzatore”, la malattia che colpisce tutti, abbienti e meno abbienti, privilegiati e chi non ha nulla (anche il fratello di Cuomo, Chris, anchorman di CNN, è rimasto contagiato). Le cifre ci dicono che non è così. Il virus colpisce soprattutto chi vive in condizioni di disagio, chi soffre di malattie pregresse, i più deboli, chi non può permettersi un’assistenza sanitaria all’altezza. In altre parole, il Covid-19 è, negli Stati Uniti ma non solo, una questione di giustizia sociale e razziale. “Il virus è particolarmente virulento con persone che hanno tassi più alti di certe malattie, e questo è vero soprattutto per gli afro-americani”, ha detto David Williams, un professore di Salute pubblica a Harvard University. Patologie croniche come il diabete, l’asma, l’obesità, le malattie cardiovascolari sono infatti particolarmente diffuse nella comunità afro-americana e rappresentano delle concause che rendono il coronavirus spesso letale.

Non si tratta però soltanto di malattie pregresse. In queste settimane in cui molti americani sono rimasti a lavorare da casa, i neri hanno goduto meno di altre comunità del “work from home”. Esistono anche qui dei dati, forniti dall’Economic Policy Institute. Al 20 marzo scorso, il 30 per cento circa dei bianchi godeva del telelavoro. Nemmeno il 20 per cento dei neri poteva dire lo stesso. Questo significa, ovviamente, un maggior rischio di esposizione al virus. In una conferenza stampa del 6 aprile, una dottoressa di Brooklyn, Uché Blackstock, diceva di aver visto “nella mia sala d’attesa più pazienti neri e latini che sono lavoratori nei servizi essenziali e che non possono restare a casa. Sono anche quelli che presentano i sintomi da Covid-19”. Edilizia, servizi di pulizia, di manutenzione, personale medico, forze dell’ordine: i settori che impiegano più neri (e latini) sono anche quelli che non permettono il telelavoro e che quindi sono stati travolti dai numeri di contagi più alti.

C’è ancora un altro elemento, che potremmo definire così: dimmi qual è il tuo zip code, il tuo codice postale, e ti dirò quanto probabilmente vivrai. “Lo zip code negli Stati Uniti è un indicatore della probabilità di vita, migliore dello stesso patrimonio genetico”, ha detto sempre David Williams di Harvard University. Chi vive nei quartieri più ricchi, semplicemente, vive di più. Prendiamo Chicago. Nelle aree della città dove risiede una popolazione prevalentemente nera, l’aspettativa di vita è di circa 60 anni. Si alza a quasi 90 anni nelle zone solo bianche. In tutti gli Stati Uniti (dati della NAACP e della “Clean Air Task Force”), gli afro-americani hanno il 75 per cento di possibilità in più rispetto ai bianchi di vivere in quartieri vicini a complessi industriali, con una qualità dell’aria pessima. Nel 2014 i neri morivano di asma con tassi tre volte superiori rispetto ai bianchi (dati del Dipartimento alla salute del governo USA). Sono queste, a maggioranza di residenti afro-americani, le aree dove i servizi sanitari sono più scadenti; dove è più difficile che un medico stabilisca il suo ambulatorio; dove le assicurazioni sanitarie sono più rare. Sono queste, anche, le aree dove il coronavirus ha colpito in modo più spietato; dove i tamponi sono stati più rari – “è possibile prevedere con assoluta certezza che la popolazione marginalizzata e vulnerabile sarà testata con minor frequenza”, ha spiegato Irwin Redlener di Columbia University -; dove i morti sono stati più numerosi.

Il Covid-19 rende quindi ancora più limpida, e drammatica, una situazione che è strutturale nella società americana. Sarebbe impossibile rimediare oggi, con il coronavirus, “a decenni, a secoli, di distribuzione ineguale della sanità ai danni degli afro-americani”, ha detto il governatore dell’Illinois, JB Pritkzer. “Quando nelle comunità bianche si ammalano, nelle comunità nere noi moriamo”, ha fatto notare un deputato afro-americano del Wisconsin, David Bowen, che è stato contagiato dal virus. Razzismo, ineguaglianze, povertà, minor accesso alle risorse spiegano i numeri impressionanti delle vittime nere negli Stati Uniti. La settimana scorsa alcuni deputati e senatori democratici, tra cui Elizabeth Warren, hanno inviato una lettera al “Centers for Disease Control and Prevention” – l’agenzia dell’amministrazione responsabile della gestione delle malattie infettive – in cui si chiede di fornire i dati di contagiati e vittime del coronavirus “divisi per appartenenza razziale”. Solo in questo modo, dicono, sarà possibile per il Congresso “affrontare le ineguaglianze nelle questioni di salute pubblica”. La richiesta, sinora, non ha avuto risposta.

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