“Le cose le abbiamo scritte in atti ufficiali che non possono essere travisati”. Dice bene l’assessore lombardo alla Sanità, Giulio Gallera, quando parla delle decisioni prese dalla Giunta regionale in merito all’invio di pazienti covid nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Cioè le strutture per anziani malati cronici che erogano assistenza sanitaria condivisa tra più persone, prevalentemente in convenzione con il pubblico, sulla base di parametri che vengono definiti dalle regioni stesse. Quegli stessi parametri, come già sottolineato da ilfattoquotidiano.it, però, rendono davvero difficile, se non impossibile, reperire le strutture che secondo la regione sarebbero titolate ad accogliere i pazienti covid. Almeno in base alla definizione della deliberazione di giunta dell’8 marzo scorso ricordata da Gallera lunedì 6 aprile nel suo punto quotidiano.

Le residenze sanitarie non hanno personale in più, anzi – L’assessore ricorda: “Abbiamo detto che le Rsa che avevano strutture autonome dal punto di vista strutturale, cioè padiglioni separati o strutture fisicamente indipendenti, cioè con aree che non entravano in contatto con altri pazienti e autonome anche dal punto di vista organizzativo, cioè con personale da dedicare esclusivamente a questi pazienti, cioè con luoghi totalmente separati e personale dedicato, se potevano e volevano”…ospitare i pazienti covid meno gravi. Peccato che in base ai cosiddetti minutaggi, cioè il tempo minimo che una struttura per convenzione con il pubblico, deve dedicare a un ospite, le Rsa abbiano delle enormi difficoltà a coprire il normale carico di lavoro (che non prevede la gestione di epidemie, ma neanche di polmoniti delle quali normalmente si occupano gli ospedali).

Non a caso non appena ci sono dei concorsi pubblici, il personale delle strutture private corre attratto dall’idea che per lo Stato si lavora molto meno e si prende di più. Figuriamoci avere personale doppio. Quindi, anche senza entrare nel merito delle strutture fisiche separate, resta il nodo del personale e non si capisce quali siano le Rsa lombarde che sono state ritenute idonee a sgravare gli ospedali dai pazienti covid senza mettere a rischio i propri ospiti, com’era nei desiderata di chi ha scritto la delibera. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiederlo a più riprese, quotidianamente all’assessore nelle ultime tre settimane, ma non ha mai avuto risposta.

La decisione della Lombardia del 30 marzo – Il comprensibile obiettivo di un alleggerimento del peso sugli ospedali, in ogni caso, non è avvenuto solo agendo sui flussi in uscita, ma anche su quelli in entrata. E il mezzo, che giustifica il fine, sono sempre le Rsa. Lo si legge neanche troppo tra le righe di un’altra deliberazione della Giunta di Palazzo Lombardia, la numero XI/3018 del 30 marzo scorso, che è stata presa poche ore dopo il primo incontro dall’inizio dell’emergenza tra l’assessorato di Gallera e gli operatori del settore, i gestori delle Rsa, che hanno chiesto di essere almeno posti nelle condizioni di gestire i pazienti covid. Detto fatto.

Nel testo della deliberazione che è seguita all’incontro, è scritto che visto che “per gli ospiti delle Rsa e delle Rsd, in quanto pazienti fragili, l’emergenza da Covid-19 può rappresentare problematica particolarmente significativa”, e che grazie alla delibera di giunta dell’8 marzo scorso, “le Rsa possono accogliere pazienti dimessi da strutture ospedaliere inviati dalla centrale unica regionale dimissione post ospedaliera”, la giunta Fontana ha ritenuto “opportuno fornire alle Rsa e Rsd indicazioni per la gestione operativa degli ospiti e del personale, al fine di contenere le infezioni correlate all’assistenza nell’ambito dell’emergenza da Covid-19”. Seguono quindi “indicazioni per la gestione clinica di eventuali casi di Covid 19. Con particolare riguardo all’ossigenoterapia e alla sedazione palliativa”.

Così la giunta non manda in ospedale gli ospiti delle Rsa – La delibera include vari allegati. Uno dei quali contiene le indicazioni operative per la gestione degli ospiti che presentano sintomi “similinfluenzali” o covid positivi. Con una distinzione. I maggiori di 75 anni che presentano dei valori anomali di saturazione dell’ossigeno e sono in “discrete condizioni di salute”, vengono dirottati sul circuito ospedaliero tramite il 112. Per gli ultrasettantacinquenni che hanno una “situazione di precedente fragilità nonché più comorbilità”, invece, “è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all’attesa in Pronto Soccorso”.

In altre parole, considerato che le Residenze sanitarie assistite per definizione ospitano persone di età media superiore ai 75 anni con malattie croniche e, quindi, situazioni di fragilità, come per altro si ammette in testa alla delibera, la giunta Fontana esclude a priori dall’accesso ospedaliero gli ospiti delle Residenze sanitarie che pure fino a un mese e mezzo erano in grado di tollerare il trasporto in ospedale in caso di necessità. A loro, secondo le istruzioni dello stesso allegato, viene misurata la saturazione periferica dell’ossigeno e, in caso di necessità, somministrata l’ossigenoterapia. La terza strada è indicata in meno di due righe dallo stesso allegato dove si legge che “se il paziente è terminale si allegano le linee guida per ‘protocollo di sedazione terminale/sedazione palliativa“.

Le istruzioni sul fine vita in un allegato – Quest’ultimo capitolo è trattato in un ulteriore allegato che definisce asetticamente scopi della sedazione terminale, ambiti di applicazione e modalità di gestione della stessa, raccomandando come “un’attenta e corretta gestione dell’intero processo, decisionale ed attuativo, è importante per realizzare un efficace controllo dei sintomi e per minimizzare lo stress emozionale dei parenti (lutto patologico) e dei sanitari (burn-out dell’equipe)”. La decisione, sottolinea quindi l’allegato, “deve arrivare al termine di un processo decisionale che vede coinvolti l’equipe curante, il malato (se possibile) e i familiari o le persone a lui care”. Resta da capire al termine di quale processo sono invece state prese delle decisioni così importanti e delicate, che riguardano l’etica, l’universalità della sanità e il fine vita e che pure, in Lombardia nel 2020, vengono relegate all’interno di una serie di allegati in coda a una delibera varata in silenzio.

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