di GigaWorkers

Il governo italiano, per il mese di marzo, ha stanziato 25 miliardi con il decreto Cura Italia per sostenere l’economia italiana chiamata a fronteggiare la riduzione dell’attività produttiva a causa della pandemia Covid-19; è un primo passo per rispondere alla probabile recessione che ci colpirà nei prossimi mesi. Al riguardo le previsioni sono ballerine e, al momento, poco attendibili. Si va dalla stima di un calo del Pil italiano dell’11% secondo Goldman Sachs al 2,3% di Moody. Un intervento approvato dal Consiglio dei Ministri che dovrà essere aggiornato intorno alla metà di aprile, un provvedimento d’emergenza che vuole tamponare la situazione attuale ma che risulta insufficiente, e non potrà essere risolutivo. È quindi certo che nei prossimi giorni verrà varata una seconda manovra, anche alla luce della flessibilità che la Commissione Europea deciderà di concedere all’Italia.

Possiamo, per il momento, iniziare a considerare questa prima manovra, dalla quale emerge che la cifra messa a disposizione per sostenere in modo diretto il reddito dei lavoratori e delle lavoratrici è pari a 7.938 milioni di euro (il 31,9% del totale), di cui 4.640 milioni di euro per la cassa integrazione e 1.261 milioni di euro per congedo e indennità ai lavoratori dipendenti del settore privato. Per i lavoratori iscritti alla Gestione Separata e per i lavoratori autonomi iscritti alle Gestioni speciali dell’Ago (commercianti e piccoli artigiani) sono stati messi a disposizione 2.160 milioni di euro attraverso l’istituzione di un’indennità una tantum, per il solo mese di marzo, di 600 euro esentasse.

Si è scelto dunque di erogare il sostegno al reddito sulla base della tipologia contrattuale e della condizione professionale di partenza. Il ricorso allo strumento della cassa integrazione implica già l’esistenza di un rapporto di lavoro stabile in essere (il 58,4% della somma stanziata a sostegno del reddito). Il reddito che viene emesso dalla cassa Integrazione è pari a circa l’80% dello stipendio.

La Uil ha calcolato che sulla base di uno stipendio medio di 1.316 euro al mese, in media lo stipendio con la cassa integrazione è di poco superiore ai 940 euro netti. Rimane difficile calcolare il numero dei beneficiari. Un rapido calcolo ci permette di stimare che il numero massimo dei probabili ricettori si aggira attorno a 4,9 milioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti.

Per i lavoratori autonomi, stimati circa 3,6 milioni, viene erogato invece un bonus straordinario di 600 euro (al momento sono state inviate più di 2,6 milioni di domande, dopo il down del sito dell’Inps il 1 aprile all’inizio della procedura). Da notare come questa cifra si ponga ben al di sotto della soglia di povertà relativa che secondo gli ultimi calcoli dell’Istat ammonterebbe a 750 euro mensili.

Permane tuttavia il rischio che una serie di figure del mondo del lavoro non riescano ad accedere ad alcuna indennità, come gli occasionali senza Partita Iva o i lavoratori on demand (a chiamata e gli intermittenti); oppure che una fetta di lavoratori si ritrovino con un reddito insufficiente a garantire loro la sussistenza, come i part-time o i working poor messi in cassa a zero ore. Bisogna inoltre tener conto del blocco, seppur parziale, delle attività economiche e della libertà di movimento e dei loro effetti sul mancato rinnovo dei contratti a termine e sul lavoro nero, che per molte persone rappresenta la principale, se non l’unica, fonte di reddito.

Sulla base di queste considerazioni, viene spontaneo chiedersi: non sarebbe stato forse più efficace e più semplice disporre di una misura universalistica in grado di garantire reddito a tutte/i coloro che si trovano in difficoltà economica a causa del Coronavirus, a prescindere dalla loro condizione lavorativa? Perché non proporre almeno in questa fase un allargamento dell’accesso al Reddito di Cittadinanza (RdC) nel senso di una minor condizionalità, come è stato auspicato anche dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, o da Vito Crimi, attuale capo politico (ad interim) del Movimento 5 Stelle?

Se consideriamo che in Italia le persone che si trovano in una situazione di povertà relativa sono circa 13 milioni e che al momento soltanto 2,5 milioni usufruiscono del RdC, ne consegue che la platea dei possibili beneficiari è molto più ampia di quella prospettata dal Parlamento e dal Decreto Cura Italia, e che la cifra messa a disposizione appare distante dall’essere un’adeguata risposta alla situazione attuale del Paese.

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