In Israele il capo del Mossad, Yossi Cohen, è stato incaricato dal premier Benjamin Netanyahu di guidare gli sforzi per procurarsi attrezzature e forniture mediche per combattere la pandemia di coronavirus. È certamente un passo insolito e per molti israeliani anche motivo di seria preoccupazione. Certo, in un’emergenza nazionale è dovere di tutti aiutare il proprio Paese, ma resta da capire quali competenze in materia abbiano gli 007 dello Stato ebraico.

Israele è l’unico Paese “occidentale” ad agire in questo modo. Né la Cia americana né l’MI6 inglese, né i servizi di sicurezza francesi (Dgse) o tedeschi (Bnd) sono stati coinvolti in questo campo. Lasciano gli appalti e le forniture alle autorità civili. Ma all’interno di Israele, il Mossad non è solo. Il ministero della Difesa è stato coinvolto in varie forme di approvvigionamento dall’indipendenza di Israele e ha maturato molta più esperienza, specie con le missioni di aiuto internazionale, da Haiti al terremoto in Armenia, e capacità rispetto al Mossad che non ha alcun vantaggio intrinseco in campo medico. Ma per Netanyahu sono meglio i katsa, gli agenti operativi dell’agenzia di spionaggio, dei consigli dei medici militari o dell’Istituto superiore di Sanità.

Tuttavia, l’esperienza del Mossad è quella di utilizzare i suoi contatti, tranquilli e sotto traccia, specialmente nel mondo arabo e musulmano. Israele ha relazioni diplomatiche con circa 100 paesi, il Mossad ha legami non divulgati con quasi 140 Stati. E ancora più tangibilmente, Netanyahu ha scelto Cohen per guidare la caccia alle attrezzature sanitarie perché i due sono molto vicini e il sempre sospettoso primo ministro si fida soltanto di lui.

Il servizio di intelligence del Mossad giovedì scorso ha fatto arrivare altri 400mila kit di test per coronavirus in Israele da una località sconosciuta, ha annunciato l’ufficio del Primo Ministro. Che si sono aggiunti ai circa 100mila che l’agenzia di spionaggio aveva portato in Israele la scorsa settimana.

L’ufficio del premier, da cui dipende il Mossad, rispondendo a una domanda de Ilfattoquotidiano.it, ha affermato che i tamponi necessari provengono per la quasi totalità da Paesi stranieri, ma ha poi rifiutato di commentare ulteriormente la questione, in particolare sui Paesi che hanno venduto i componenti per i test, portando molti a supporre che si trattasse di Stati che non hanno legami forti o formali con Israele.

Sempre grazie al Mossad, ieri sono arrivate anche 25mila maschere respiratorie N95, 10 milioni di mascherine chirurgiche e 700 tute per i lavoratori del Magen David Adom (la Croce Rossa israeliana) che di solito eseguono i test iniziali per il virus. Almeno altri 160 ventilatori saranno portati in Israele entro domani, ma anche in questo caso non sono stati forniti dettagli circa la provenienza delle apparecchiature.

Anche lo Shin Bet, lo spionaggio interno israeliano che dipende dal ministero della Difesa, è coinvolto nel controverso programma di sorveglianza di massa autorizzato dal governo per tenere traccia dei movimenti dei portatori di virus attraverso cellulari e carte di credito per facilitare la quarantena retroattiva delle persone con cui sono entrati in contatto. Grazie a questo sistema sono stati identificati 500 nuovi portatori confermati della malattia.

È molto probabile che Yossi Cohen, soprannominato Il Modello per la sua avvenenza, stia cercando di sfruttare i suoi contatti, i leader e i capi dell’intelligence nel mondo arabo, per convincerli ad aiutare il sistema sanitario israeliano, certamente poco attrezzato per un’emergenza simile. È probabile che gli Stati arabi abbiano acquistato le loro attrezzature protettive e diagnostiche dalla Cina. In ogni caso, Israele è l’unico Paese al mondo ad aver mobilitato la sua agenzia di intelligence per questa missione.

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