Con la pandemia che è prima uscita dai confini della Cina e, dopo l’Europa e l’Asia, ha raggiunto anche America e Medio Oriente, anche i leader più scettici riguardo alla pericolosità del coronavirus hanno dovuto chinare il capo e far digerire alla popolazione misure sempre più restrittive. Lo ha fatto la Francia, che ha seguito la linea tracciata dal governo italiano. Lo hanno iniziato a fare anche la Gran Bretagna, che con Boris Johnson sembrava voler sposare la strategia del contagio diffuso in nome dell’immunità di gregge, e gli Stati Uniti, con Donald Trump che lunedì ha parlato di “situazione non sotto controllo”, ipotizzando anche la recessione economica quando poche ore prima aveva etichettato il Covid-19 come una semplice influenza.
Ma, oltre a provvedimenti di questo tipo, presi anche da Paesi dove il contagio non è così diffuso, come le Filippine che hanno messo in lockdown l’isola sulla quale sorge la capitale Manila o alcuni Paesi del Medio Oriente che si sono completamente isolati per limitare il contagio, le azioni che hanno maggiorente impattato sulla vita, e sulla privacy, delle persone sono quelle di chi ha messo in campo la tecnologia per combattere la diffusione. Su tutti, Cina, Corea del Sud e Israele.
Israele, “lo Shin Bet traccia gli spostamenti dei cittadini”
L’ultimo caso è quello che riguarda l’esecutivo di Tel Aviv. A rivelarlo è un articolo del New York Times secondo cui tra gli ultimi atti da premier di Benjamin Netanyahu, mentre l’avversario alle ultime elezioni, Benny Gantz, sta cercando di formare una maggioranza di governo, c’è l’autorizzazione rilasciata ai servizi segreti interni, lo Shin Bet, ad attingere a una lista segreta di dati di cellulari dei cittadini israeliani per tracciare i loro spostamenti e verificare se abbiano frequentato luoghi di contagio o soggetti positivi al Covid-19. Tutto con l’obiettivo di stabilire chi, anche in assenza di sintomi, debba essere sottoposto a regime di quarantena.
In pratica, usufruendo di un database creato nel 2002, secondo quanto raccontato da alcuni funzionari, per il contrasto al terrorismo composto dai dati di milioni di cittadini forniti dalle compagnie telefoniche, è stato possibile controllare tutti gli spostamenti delle singole persone e, incrociandoli con quelli di coloro che sono risultati positivi, creare una lista di luoghi e soggetti a cui imporre la quarantena. A questa strategia di prevenzione si uniscono le dure pene e restrizioni imposte dal governo che è stato anche uno dei primi a chiudere i propri confini: chi viene sorpreso a violare l’isolamento obbligatorio rischia fino a 6 mesi di detenzione. Inoltre, con il numero di contagi che nella mattinata del 17 marzo segna 304 casi, il ministero della Sanità ha anche annunciato nuove direttive limitando le attività pubbliche e l’uscita da casa “se non per situazioni che lo impongono”.
L’utilizzo dei dati da parte dei servizi d’intelligence, ha fatto sapere lo stesso Netanyahu, avrà la durata limitata di 30 giorni. Prevedendo le proteste di una parte dell’opinione pubblica, visto che l’esistenza di tale lista, stilata per motivi legati alla lotta al terrorismo, non era nota, il premier uscente, quando ancora il provvedimento non era di pubblico dominio, ha dichiarato che “Israele è una democrazia. Dobbiamo mantenere un equilibrio tra i diritti individuali e il bene della società”. Un funzionario del governo di Tel Aviv, sentito dal New York Times, ha sostenuto il provvedimento: “L’uso di tecnologie avanzate da parte dello Shin Bet ha un solo scopo, salvare vite umane. Si tratta di un’attività mirata, limitata nel tempo e monitorata dal governo, dal procuratore generale e dai meccanismi regolatori della Knesset (il Parlamento israeliano, ndr)”.
Cina, dal tracciamento degli spostamenti al riconoscimento facciale
Il Paese che per primo ha dovuto fare i conti con l’aumento esponenziale di casi di contagio è anche quello che prima degli altri ha deciso di ricorrere alla tecnologia per frenare la pandemia. E anche in questo caso hanno fatto discutere, più negli altri Paesi che internamente, per dire la verità, le decisioni della Repubblica Popolare di mettere da parte la privacy dei propri cittadini in nome della loro salute. Un approccio innovativo nella lotta alle epidemie che per alcuni è diventato un modello da emulare, mentre per altri solo l’ultima dimostrazione delle violazioni dei diritti umani da parte del governo di Pechino.
Ad esempio, il Consiglio di Stato cinese ha sostenuto la creazione di un’app che attinge da una serie di dati, come i registri dei trasporti pubblici e le prenotazioni di voli, e permette alle persone di sapere se si sono avvicinate a soggetti noti per essere infettati o a luoghi dove si sono verificati episodi di contagio.
A questa si affianca un massiccio lavoro di riconoscimento facciale, grazie alle videocamere sparse per le strade delle città, per verificare chi indossa la mascherina protettiva e quali luoghi sta frequentando. Ad esempio, alcune persone alle quali era stato vietato di addentrarsi in certe aree della città sono state sorprese a farlo proprio grazie al riconoscimento facciale che riesce a scoprire l’identità dei soggetti anche se indossano una mascherina. In alcune città, addirittura, ci sono robot per le strade che ricordano alle persone le precauzioni da prendere o che, invece, si occupano della sanificazione degli spazi pubblici, sollevando il personale da un compito rischioso per la salute.
Ruolo simile a quello svolto dai droni che individuano le persone che non indossano le mascherine e le invitano a usarle, lanciano appelli e informazioni sulla buona condotta e, inoltre, utilizzando videocamere termiche per individuare soggetti in strada con una temperatura corporea anomala.
Anche in Cina le principali compagnie telefoniche registrano gli ultimi spostamenti delle persone, così che, se fermati ai posti di blocco all’entrata delle città, le autorità sanitarie possano verificare le aree visitate e decidere se il soggetto può mettere a rischio la salute pubblica.
Corea del Sud, una sorveglianza in stile cinese
Anche la Corea del Sud, uno dei Paesi col maggior numero di contagi al mondo, superati i 5mila casi registrati ha deciso di mettere in campo le proprie competenze tecnologiche per combattere la diffusione del virus. Una strategia che, se si guarda la curva delle nuove trasmissioni, sembra dare ragione al governo di Seul.
Sulla falsa riga di quanto accaduto in Cina, in Corea del Sud la popolazione è stata invitata a usare l’app per smartphone Corona 100m che traccia gli spostamenti delle persone risultate positive, i luoghi da loro frequentati e le aree a maggior contagio, così che i cittadini possano evitare di circolare in zone considerate più a rischio. Nessun riconoscimento facciale come a Pechino, ma una semplice app che, registrando gli spostamenti tramite cellulare, permette agli iscritti di muoversi limitando così i rischi per la propria salute.