“Sicuramente quello cui stiamo assistendo è un rallentamento nella corsa del virus. Poi per capire che cosa si intenda per ‘picco’ ci si dovrà rivolgere a un vocabolario. La curva epidemica, quindi, sta rallentando, però attenzione: le catene di contagio sono aperte. Siamo seduti su una polveriera: basta accendere la miccia e la polveriera scoppia“. Sono le parole pronunciate ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, da Pierluigi Lopalco, professore ordinario di Igiene all’Università di Pisa e responsabile del coordinamento regionale Emergenze Epidemiologiche dell’Agenzia regionale strategica per la salute e il sociale della Regione Puglia.

L’epidemiologo spiega: “Quello che sta accadendo, da un punto di vista strettamente epidemiologico, è un buon segno. Ma i casi che si registrano sono ancora tantissimi, cioè c’è ancora in giro tanta gente infetta che sta infettando gli altri, i quali, a loro volta, possono infettare altre persone. E’ giusto avere un moderato ottimismo e vedere la luce in fondo al tunnel, però stiamo attenti: questo non significa che possiamo uscire di casa e far finta che nulla sia successo“.

Circa il piano di rientro nella post-quarantena, per il quale già si stanno profilando posizioni politiche contrapposte tra chi invoca un ritorno al lavoro per scaglioni anagrafici e chi opta per una selezione su base regionale, Lopalco puntualizza: “Come al solito, ai problemi complessi non dobbiamo rispondere con soluzioni semplici. Serve una soluzione complessa e articolata. Non esiste una unica soluzione per risolvere qualcosa di così complicato come il rientro alla normalità. Noi dovremmo rientrare alla normalità ma sarà una nuova normalità. Deve essere fatto ovviamente con giudizio, e non con una sola regola ma con una serie di provvedimenti – continua – Per poter tornare al lavoro non dobbiamo soltanto dire: ‘Tornano prima i quarantenni e poi i cinquantenni’. No: dovremmo ristrutturare le fabbriche, i luoghi di lavoro e il lavoro stesso. Penso a una cosa banalissima: cominciamo a mettere in sicurezza le cassiere dei supermercati, mettendo una semplice lastra di plexiglass tra la cassiera stessa e il cliente. Inoltre, questa sarebbe l’occasione per abolire il contante, non soltanto perché contante significa soldi sporchi. Il contante obbliga le persone ad andare in banca a ritirare, poi bisogna fare la fila al bancomat e toccare le tastiere dei bancomat. Oggi qualunque pagamento si può fare con il telefonino senza toccare una tastiera”.

E ribadisce: “Cogliamo questa occasione per mettere un po’ più di innovazione nel nostro Paese, per ristrutturare il lavoro e per mettere i lavoratori maggiormente in sicurezza. Ma poi far tornare solo il 40enne a lavorare cosa significa? Quando torna a casa, il 40enne al genitore anziano non lo va a trovare? Le nostre famiglie sono molto interlacciate. Nella stessa casa, in appartamenti piccoli, soprattutto nei ceti più disagiati, ci vivono i figli, i papà e i nonni. Quindi, niente proclami e niente dibattiti. Questi non sono temi su cui dibattere, perché, se si crea una discussione su una questione così seria, come al solito, gli italiani si dividono tra colpevolisti e innocentisti – prosegue – La parlamentare Marianna Madia propone di aprire a riguardo un dibattito in Parlamento? Il dibattito deve essere aperto, ma non in Parlamento. Serve una commissione di esperti che lavorino insieme: epidemiologi, infettivologi, ingegneri, economisti, sindacalisti, imprenditori. La decisione politica viene dopo, ma prima è necessario un comitato tecnico che spieghi quali possano essere le strade giuste. Si tratta di predisporre una serie di interventi, che vanno avviati contemporaneamente. E devono essere preparati da subito”.

Lopalco, infine, spiega l’importanza dei test sierologici, specie per il personale sanitario: “E’ una strada promettente da cominciare a seguire da subito. Noi in Puglia siamo già partiti con indagini di questo tipo. L’esame sierologico non sostituisce il tampone per individuare il virus, ma è l’esame che cerca gli anticorpi nel sangue. Di solito, gli anticorpi riescono a essere rilevati 10-14 giorni dopo che c’è stata l’infezione. E’ molto importante saperlo, perché se ho gli anticorpi, molto probabilmente, almeno nei prossimi mesi, sarò immune a questa infezione. Test affidabili ci sono, è una indagine che dovrà prendere piede su tutto il territorio nazionale“.