Certe volte un’immagine può raccontare la realtà meglio di tante parole. E allora ve ne consegno due. La prima, che ha fatto il giro del mondo: la fila di camion dell’esercito che lascia la città con le bare stipate nei cassoni. La seconda, meno nota: la fila di ambulanze parcheggiate fuori dall’ospedale Papa Giovanni XXIII. Non in attesa di prendere servizio, ma anch’esse cariche. Cariche di vite aggrappate a una bombola d’ossigeno.

Chiunque viva a Bergamo, vive sulla propria pelle il coronavirus. Perché non c’è persona che non abbia un parente, un amico o un conoscente che non sia stato ricoverato in ospedale. O, peggio, che non sia morto. Chiunque viva a Bergamo, in questi giorni, sia esso un medico, un politico o un cittadino, ripete sempre la stessa cosa a chi, invece, non vive a Bergamo: “Non avete idea di cosa stia accadendo qui. Chi sta fuori, non lo capisce”.

È vero, i numeri ci vengono in soccorso. Tuttavia, in questo caso, non bastano. Non basta sapere quanti siano i contagi ufficiali (6.216), i decessi ufficiali (1064), non basta sapere che i posti di terapia intensiva sono esauriti. Perché al di là dei dati diramati dalla Protezione civile, c’è un’altra realtà. Una realtà che dai report non viene sfiorata. Ed ecco qualche esempio: a Cavaraggio, comune a 20 chilometri dal capoluogo, dall’inizio del mese sono morte 50 persone (contro i sei – i sei – dell’anno scorso) ma per i registri ufficiali sono solo nove i casi causati da coronavirus; a Dalmine ci sono stati 70 decessi (18 nel 2019) e solo due legati al coronavirus (dati L’Eco di Bergamo); a Zogno, focolaio della Valle Brembana, 79 decessi, 20 per coronavirus; ad Alzano Lombardo, focolaio della Valle Seriana, 62 vittime dal 23 febbraio contro le nove dell’anno precedente; Nembro, quasi 120 morti contro i 14 del 2019.

La realtà, dunque, è questa: Bergamo – e la sua provincia – è ciò che vorremmo evitare diventasse, attraverso le misure prese dal governo (e dalle Regioni), l’Italia intera. Un luogo dove le persone muoiono sole, in casa, senza che nessuno possa fare niente per loro; dove le ambulanze non arrivano più, perché sono impegnate altrove; dove, se hai un grave problema di salute che fino a un mese fa era gestibile, ora rischi di non farcela; dove il Covid-19 sta portando via un pezzo di una generazione; dove, anche se sei sintomatico grave, non ti viene fatto il tampone; dove, stando alle parole dell’infettivologo del Papa Giovanni XXIII, Marco Rizzi, “la maggior parte delle persone è contagiata”.

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