Nulla sarà più come prima. E dunque servono nuove “visioni” per rispondere a una nuova, e fino a ieri inimmaginabile, sfida. Ci eravamo lasciati con la necessità di un grande “green new deal”. Ma forse è ora più impellente un gigantesco “white new deal”.

White economy è il nome convenzionalmente attribuito al business della sanità, della salute, dei servizi annessi e connessi a tutto il comparto sanitario. Già la parola business associata al vocabolo salute è un ossimoro mica da ridere. Quantomeno se soppesato in rapporto al primo comandamento iscritto nella nostra suprema carta all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

È l’ora di cominciare a pensare a un gigantesco “piano Marshall” per il Servizio Sanitario Nazionale. Investimenti pesanti e sistematici in tutto ciò che oggi ci manca come il pane (e il Coronavirus ha messo il dito sulla piaga): strutture, posti letto, medici, infermieri, personale, ospedali. E ancora: un più dignitoso trattamento economico nei confronti di chi, per lavoro, dedica la sua vita alla salvaguardia della nostra salute.

Siamo tutti convinti – siamo stati tutti convinti dalla cogenza micidiale del Covid-19 – che dobbiamo farlo. Adesso bisogna chiedersi: possiamo farlo? E già questa domanda ci introduce alla madre di tutte le questioni.

È moralmente accettabile un sistema in cui siamo costretti a chiederci se “possiamo” fare tutto quanto necessario per potenziare e rendere non solo efficiente (logica del rapporto costi-benefici), ma anche efficace (logica del rapporto malati-guariti) il nostro sistema sanitario? E quando si utilizza la forma verbale “possiamo”, si parla ovviamente più di diritto che di economia. Perché la sfera di ciò che uno Stato “può” o “non può” fare, per la collettività da esso rappresentata, è circoscritta dal perimetro delle regole, dei parametri, dei “paletti” che quello Stato si è dato. È il diritto a dover governare l’economia, non il contrario.

Oggi, noi siamo purtroppo “coartati” a misurarci con una serie di vincoli rigidissimi cui ci siamo volontariamente assoggettati aderendo all’Unione europea e all’eurozona. Vincoli concretizzati in una serie di trattati internazionali e anche di successivi “trapianti”, nella Suprema Carta, di valori esogeni rispetto a quelli sanciti dall’assemblea Costituente del 1946.

Ma una via di scampo, per quanto provvisoria e non risolutiva, c’è. Una via che può essere imboccata sia da chi vuole completare il percorso verso gli Stati Uniti d’Europa sia da chi desidera fare una repentina marcia indietro verso una riconquistata indipendenza nazionale. Ed è una via lungo la quale ci possono “accompagnare”, orientandoci in punto di diritto, due validissimi strumenti: 1) una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 275 del 2016; 2) un pregevole pamphlet (Saggio di verità sull’euro) di Giuseppe Guarino, uno dei più preparati giuristi italiani.

La pronuncia del Giudice delle Leggi può sintetizzarsi come segue: il pareggio di bilancio viene dopo i diritti fondamentali dell’individuo selezionati e garantiti dai padri costituenti del 1948: “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

A questo punto, entrano in campo le considerazioni di Giuseppe Guarino il quale parte da lontano, mettendo in discussione il cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita (ovverosia il Regolamento comunitario 1466/1997 antesignano del Fiscal Compact). Ebbene, secondo Guarino quel Regolamento tradisce il trattato di Maastricht che era stato chiarissimo nel fissare il deficit consentito agli Stati nella misura del 3 per cento. Per intenderci, oggi 3 punti di Pil valgono circa 50 miliardi: il doppio della somma messa sul piatto dal governo a costo di una richiesta di “flessibilità” che dovrà essere compensata con una certissima, e maggiore, “rigidità” futura.

Il tradimento del Psc è stato così vergognoso da indurre Guarino a definirlo un golpe perpetrato “con fraudolenta astuzia”. Quindi, è improcrastinabile non solo il ripensamento radicale del Mes (oggi giustamente “di moda”), ma la denuncia del trattato sul Fiscal Compact, l’abrogazione della legge 243 del 2012 attuativa dello stesso e la restitutio ad integrum dei quattro articoli della Costituzione modificati nel 2012 (81, 97, 117 e 119).

Per riuscirci ci vuole coraggio e anche capacità di uscire dai condizionamenti appresi e dai paradigmi sclerotici dell’ultimo ventennio. Come lo stesso Guarino ci esorta a fare ricordandoci, però, che idee nuove necessitano di uomini nuovi (o, quantomeno, dalla mentalità “rinnovata”): “Piazza pulita, dunque. È necessario. Coloro che hanno operato nel passato hanno occhi foderati dalle antiche esperienze. Tenderebbero a difendere le passate condotte, per ragioni di principio e/o per tutelare posizioni acquisite. Prima sgombereranno il campo, meglio sarà”.

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