Il marasma dell’epidemia presto o tardi passerà. Invece, una volta distrutti il sistema produttivo e i posti di lavoro, non esiste vaccino o cura che li possano resuscitare. Il governo, in preda ad un attacco di labirintite politica acuta, ha blaterato di contromisure economiche senza assumerne alcuna di rilievo durante le prime settimane di emergenza. Solo ieri ha stanziato 25 miliardi “di disponibilità finanziarie da non utilizzare subito” come ha affermato Conte nel messaggio alla nazione. Questo approccio approssimativo, destrutturato, episodico e dilettantesco sta spargendo un’ulteriore dose di caos.

Visto che al momento i medici dettano legge tra microfoni e telecamere, proviamo ad adottare il loro gergo: occorre aprire al più presto una serie di reparti di terapia intensiva per l’economia italiana.

Non è pensabile che uno shock di questa portata (circa un 2% di output ogni settimana di fermo) si assorba senza provvedimenti di entità ben superiore a 25 miliardi (che non si sa ancora né come, né quando verranno spesi).

Tanto meno ci si può illudere che le mitiche opere pubbliche (ammesso che superino le trappole degli infiniti ricorsi al Tar e le proteste pretestuose orchestrate ad arte) abbiano effetti eclatanti ed immediati. Per aprire i cantieri occorrono mesi e i fondi vengono spesi gradualmente per anni man mano che procede l’esecuzione dei lavori.

Né la politica monetaria genera esiti risolutivi. In Italia sono sull’orlo del fallimento piccole e medie imprese soprattutto nel commercio al dettaglio e nel turismo che hanno bisogno di essere ricapitalizzate. A queste microimprese le banche non estenderanno il credito nemmeno se la Bce tagliasse ancora i tassi: il rischio è troppo alto e i vincoli prudenziali di fatto lo impediscono. Vanno adottate misure immediate, strutturali e non convenzionali.

1. Il governo dovrebbe decretare che, fino al ripristino della normalità, i lavoratori prendano le ferie annuali. Pertanto la mancata produzione quest’anno verrà recuperata almeno in parte ad agosto. Questo limiterebbe l’inevitabile tonfo del Pil spostando il profilo temporale delle attività economiche.

Tale misura scioglierebbe anche un’incertezza cruciale. I clienti stranieri delle aziende italiane inserite nelle catene del valore globale, se non arrivassero le forniture nei tempi concordati, potrebbero impugnare i contratti e rivolgersi ad altri fornitori. Invece se la misura drastica venisse imposta dal governo per motivi di salute pubblica, ricadrebbe nei casi di forza maggiore. Certo con fabbriche e uffici aperti ad agosto il turismo subirebbe un danno sostanziale, ma la situazione è già stata compromessa da un’ondata di disdette e questo settore comunque necessiterà di interventi speciali e mirati una volta valutati i danni.

2. Il governo dovrebbe pagare immediatamente tutti i debiti della Pa. Una sentenza emessa dalla Corte Europea il 28 gennaio 2020 asserisce che l’Italia “non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici […] rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario” come prescritto dalla direttiva comunitaria che imponeva di sanare la situazione entro il 14 aprile 2017. Dai dati del novembre scorso pubblicati dal Mef si può ipotizzare che i debiti siano nell’ordine di 30 miliardi.

Già queste due semplici misure darebbero un segnale al mondo produttivo che a Via XX Settembre non si passano le giornate a suonare la chitarra per allietare il clima gramo.

3. Poi c’è quella che per me è una forma di voto di scambio, chiamata Quota 100. Prosciugare le casse dello stato in una situazione di tale emergenza per mandare in pensione anticipata pochi fortunati (che hanno un lavoro) è immorale quando milioni di persone subiranno l’impatto della crisi. Il provvedimento va abrogato immediatamente perché quei soldi vanno destinati alla cassa integrazione speciale per i settori in ginocchio.

4. Last but not least, va scoperchiata la fogna degli sprechi. Ad esempio le decine di migliaia di municipalizzate inutili non andrebbero chiuse d’urgenza? E quel buco senza fondo chiamato Alitalia per quanto tempo ancora deve essere tenuto in vita? E tutti i volumi sulla spending review accatastati a Palazzo Chigi dal 1982 non andrebbero spolverati per metterne in pratica le prescrizioni?

Luigi Di Maio durante la campagna elettorale del 2018 aveva assicurato di aver individuato ben 30 miliardi di spese inutili. Siccome nutriamo fiducia sconfinata nelle sue capacità di statista e nella sua parola, non può deluderci in quest’ora ferale.

Morale della tragedia. Questa Commissione europea (imbottita di politicanti di non eccelsa caratura) potrà anche concedere la mitica flessibilità al governo italiano. Tanto non sono mica soldi che sborsa l’Europa, come si illudono i boccaloni. Sono soldi che Conte, Gualtieri, Di Maio, Zingaretti, Renzi & compagnia casalineggiante dovranno andare a chiedere col cappello in mano ai risparmiatori italiani e stranieri.

Se costoro vedono un governo responsabile e in grado di agire potranno essere ragionevolmente convinti ad aprire il portafogli. Altrimenti alla Bce non c’è più San Mario a coprire gli assegni cabriolet della Kasta. Anzi fra pochi giorni le istituzioni europee approveranno la riforma del Mes, per cui se i suddetti risparmiatori mostrassero ribrezzo verso lo sfacelo italiano arriverebbe la Trojka. Basta un refolo di vento, visto che il debito italiano già da tempo staziona ignominiosamente un gradino sopra il livello spazzatura.

I politici che ululano verso Bruxelles devono scolpirsi in testa che sui mercati finanziari è in corso una violenta tempesta: i grandi fondi e gli investitori sono indotti a ridurre l’esposizione ai rischi, non ad accentuarla, prestando a debitori inaffidabili e incapaci. E per comprendere il disastro che si abbatte sulla popolazione quando lo stato va in bancarotta guardino al Libano fallito quattro giorni fa. E se non bastasse, fra poco l’Argentina seguirà a ruota.

La tanto agognata flessibilità, che provoca fremiti di goduria a destra e sinistra, non è una manna dal cielo. Sono debiti che andranno ripagati. E quindi rischia di essere ricordata nei libri di storia come la corda a cui il governo è tragicamente rimasto impiccato. Proprio come talora avviene al culmine del piacere nelle pratiche di bondage estremo.

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