Restare a casa: è la parola d’ordine del governo per contrastare la diffusione del coronavirus. Non uscire e quindi limitare al minimo i contatti con altre persone è il modo più efficace per proteggere se stessi e gli altri e i risultati ottenuti nelle zone rosse della Lombardia – dove dieci comuni sono stati completamente isolati dalla fine di febbraio – sembrano dimostrarlo: contagi costantemente in calo da una settimana, dal 3 marzo. “Se oggi le persone decideranno di condurre una vita più riservata – ha spiegato l’assessore al Welfare Gallera in conferenza stampa – nell’arco di qualche giorno potremmo notare una diminuzione dei contagi, un trend virtuoso che stiamo già osservando nella zona rossa”.

Nei dieci comuni in provincia di Lodi ex zona rossa – hanno ufficialmente terminato l’isolamento lo scorso fine settimana, contemporaneamente alla stretta nel resto della Lombardia – i dati mostrati da Gallera indicano un picco nella giornata 23 febbraio, quando si sono registrati poco meno di 80 casi. Nella settimana successiva, il numero di nuovi casi era sempre inferiore ai 60, e dall’inizio di marzo ha continuato a viaggiare intorno alle 40 unità, riducendosi, nell’ultima settimana intorno a una ventina. A Castiglione D’Adda, per esempio, dal 5 marzo, 16 nuovi casi. A Casalpusterlengo, nello stesso periodo, 22 nuovi casi.

Anche il dato complessivo di Lodi mostra un simile andamento nell’ultima settimana, riducendosi progressivamente dopo il picco del 3 marzo (circa novanta) fino a passare ai circa 40 del 6 marzo. “Laddove le persone rimangono al loro domicilio, dove c’è una riduzione drastica della vita sociale, i contagi calano – continua l’assessore, che ha fatto il punto in diretta streaming – lo abbiamo visto a Lodi, dove negli ultimi giorni c’è stata una netta riduzione dei positivi e ancora di più lo vediamo nella zona rossa, dove le misure erano più stringenti i contagi sono crollati negli ultimi giorni. Tutto questo funziona: questo vuol dire che se le persone non girano, non vengono contagiate né contagiano, e la diffusione si può bloccare”.

Il 21 febbraio era scattato l’isolamento per dieci comuni nella zona tra Lodi e Piacenza: Codogno, Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Somaglia, Maleo, San Fiorano, Bertonico, Fombio, Castelgerundo e Terranova. Nessuno poteva uscire o entrare, le strade deserte: chiusi negozi, bar, scuole, parrocchie e qualsiasi altra attività lavorativa e commerciale che non fosse di interesse pubblico. Una persona per famiglia, nei giorni indicati, poteva andare a fare la spesa e a comprare beni di prima necessità come i medicinali. Misure severe, ma non del tutto rispettare: diciotto persone sono state denunciate per aver violato i confini della zona rossa.

Alla mezzanotte del 9 marzo, la quarantena è finita: a Codogno, dove tutto è iniziato, non c’è molta voglia di festeggiare. Piuttosto, c’è preoccupazione: molti cittadini temono di veder vanificati i loro sforzi dalle nuove misure approvate dal Governo per contenere il contagio. “Abbiamo passato 15 giorni in trincea nella zona rossa, è stata difficile sai? – scrive un cittadino di Codogno in una lettera aperta al Governo – Ci siamo tirati su le maniche nella speranza che il contagio potesse contenersi pagando un sacrificio che difficilmente noi cittadini ci toglieremo dalla testa. Ora che i numeri dei contagi sono diminuiti, aprire i blocchi rappresenta per noi un duro colpo, vedendo vanificato tutti questi sforzi e riecheggiando in noi nuovi tormenti e nuove paure”. Anche Massimo Galli, direttore Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, è scettico nei confronti della decisione: “O mi sfugge qualcosa, o secondo me riaprire in questo momento è una grandissima sciocchezza”. Le nuove misure volute dal Governo per Galli “non sono destinate a rimanere per poco tempo”, e potrebbero essere inasprite.

IL DISOBBEDIENTE

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