Il coronavirus contagia anche nei reparti degli ospedali e rende ancor più complessa anche la regolare attività delle strutture, già impegnate a far fronte all’emergenza sanitaria. Oltre ai presidi “in prima linea”, da Codogno a Schiavonia, anche nel resto d’Italia ci sono casi di contagi tra persone già ricoverate nei reparti o passate dal pronto soccorso. E ogni volta significa chiusura, almeno temporanea, per consentire la sanificazione degli spazi. Mentre medici e infermieri sono costretti all’auto-isolamento, con conseguente carenza di personale. Ci sono poi quelle strutture, da Lodi a Crema, da Piacenza a Tortona, trasformate in punti di riferimento per il Covid-19, dove interi reparti vengono stravolti per fare spazio a nuovi posti letto. Ecco le situazioni più critiche negli ospedali italiani negli ultimi giorni:

Ospedale delle Molinette (Torino) – Il 5 marzo una coppia di ottantenni, ricoverata da quattro giorni in Medicina, è risultata positiva al coronavirus. Il reparto è stato chiuso per un giorno e oggi (6 marzo) ha riaperto: è stato necessario organizzare la messa in quarantena del personale sanitario che ha avuto contatti coi due positivi e dei degenti. Non è stato fornito un numero preciso dei lavoratori coinvolti. I coniugi erano arrivati in ospedale per quella che sembrava influenza, purtroppo non dichiarando che era venuto a fare loro visita proprio in quei giorni il figlio, che lavora nella “zona rossa” del lodigiano. La paziente è stata trasferita all’ospedale Amedeo di Savoia, riferimento regionale per le malattie infettive mentre il marito, più critico, è ricoverato in rianimazione. Essendo degenti allettati, non ci sono rischi per gli altri ricoverati, che in termini precauzionali sono stati comunque spostati in altri reparti dell’ospedale.

Ospedale Sant’Orsola (Bologna) – Il coronavirus è entrato anche nel reparto di Urologia dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, costretto a lavorare a regime ridotto dal 4 marzo. Secondo quanto riporta la stampa locale, uno dei contagiati in Emilia-Romagna è un paziente che ha subito un intervento chirurgico ed è rimasto ricoverato in quel reparto. Solo successivamente, con l’insorgere di sintomi, è stato effettuato il tampone, poi risultato positivo. Il paziente, secondo quanto l’edizione bolognese di Repubblica, avrebbe omesso di dire che era stato nel Piacentino e di avere avuto una leggera tosse. Nel reparto sono scattate misure ad hoc, con nuovi ricoveri bloccati, sale operatorie e ambulatori fermi. Tamponi a tutti i possibili contatti del paziente, in primis al personale sanitario. Sempre secondo Repubblica, la sala operatoria utilizzata per il paziente è stata chiusa e igienizzata.

Ospedale San Paolo (Napoli) – È stata disposta la chiusura fino alle 18 del 6 marzo del pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, nel quartiere Fuorigrotta, a Napoli: un medico intervenuto per assistere un paziente, risultato poi positivo al tampone per il coronavirus, “non ha indossato i Dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr) nonostante fossero disponibili e successivamente ha completato il suo lavoro nel pronto soccorso“. Il medico è stato messo, d’ufficio, in quarantena domiciliare e “si rende necessario ad horas l’intervento di sanificazione dei luoghi e dei beni immobili”. I pazienti sono stati trasferiti o in altri reparti dello stesso ospedale o in altre strutture con l’aiuto del 118.

Ospedale di Macerata – Il 6 marzo è stato chiuso il reparto di dermatologia dell’ospedale di Macerata, dopo che un medico è risultato positivo al test. In quarantena sono finiti i familiari, ma anche tutti i pazienti che erano sotto la sua cura.

Ospedale di Torrette (Ancona) – Il reparto di medicina d’urgenza dell’ospedale regionale di Torrette di Ancona è stato evacuato dopo che tre medici, in servizio in pronto soccorso e nello stesso reparto, sono risultati positivi al tampone. I pazienti sono stati trasferiti in altre unità operative, mentre la direzione medica ha disposto la sanificazione del piano per poter poi riprendere l’attività. Molti medici però sono in quarantena forzata, dopo essere stati a contatto con il primo paziente positivo registrato all’ospedale.

Ospedale di Pomezia – Il 6 marzo “è stata sospesa a scopo precauzionale l’accettazione al Pronto Soccorso della Casa di Cura Sant’Anna di Pomezia per consentire la gestione di due casi positivi“. Lo ha comunicato l’assessorato alla Sanità e all’Integrazione Socio Sanitaria della Regione Lazio. Al momento, continua il post, “i cittadini posso usufruire del Pronto Soccorso del nuovo ospedale dei Castelli e agli Ospedali riuniti di Anzio e Nettuno“.

Ospedale di Codogno – Nell’ospedale dove è scoppiata l’emergenza sanitaria che ha poi coinvolto tutta Italia, nel Paese di Codogno, resta ancora chiuso il pronto soccorso. “Sono presenti pazienti di tipo chirurgico e ortopedico. È attiva la riabilitazione cardiologica con pochi ricoverati già presenti prima del ridimensionamento. All’interno del reparto di medicina sono presenti alcuni pazienti positivi al coronavirus ma con sintomi minori”, ha spiegato Massimo Lombardo, direttore generale della Asst di Lodi. Nell’ospedale del capoluogo di provincia sono invece stati “trasformati 2 reparti in 3 giorni. Mentre il pronto soccorso principale è tutto dedicato a pazienti sospetti con ingresso separato rispetto a quello degli altri pazienti”, ha aggiunto Lombardo.

Ospedale di Crema – Dal 3 marzo l’ospedale di Crema ha cambiato pelle, diventando polo per il Covid-19. “Nel monoblocco al sesto piano – ha spiegato il Dg Germano Pellegata – le aree di pneumologie e otorino sono state trasformate e abbaiamo aperto 44 posti letto per chi è risultato positivo”. Sullo stesso piano cui sono pure 12 letti per i pazienti, per così dire normali di cui 7 di terapia intensiva riservati a coloro che per esempio hanno la polmonite e necessita di ausili per respirare. Oltre agli 8 posti in terapia intensiva già previsti, al quinto e al secondo piano sono stati creati 38 posti di osservazione per quanti sono in attesa dell’esito del tampone.

Ospedale di Schiavonia – L’ospedale “Madre Teresa di Calcutta” di Schiavonia (Padova), il primo in Veneto ad aver registrato due casi di coronavirus, è rimasto chiuso fino al 6 marzo compreso. Per la riapertura, ancora non certo, è previsto l’utilizzo di un esemplare del robot Da Vinci, che verrà impiegato dal personale addestrato in interventi chirurgici, urologici e ostetrico-ginecologici. Lo ha annunciato il 5 marzo Domenico Scibetta, direttore generale dell’Usl 6 Euganea, che ha firmato una delibera di noleggio per 5 anni (3+2). L’operazione è finanziata dalla Giunta della Regione Veneto. “In questo momento così delicato per l’Ospedale di Schiavonia – dice Scibetta – la notizia dell’arrivo del robot Da Vinci getta una luce di positività e speranza, quanto mai necessaria”.

Ospedale di Fiorenzuola – L’azienda Usl di Piacenza ha deciso il 5 marzo di chiudere il pronto soccorso di Fiorenzuola, invitando chi ne avesse necessità a rivolgersi all’ospedale di Piacenza. All’ospedale della cittadina è stata creata un’area “Covid19”, che permette di gestire in sicurezza i casi positivi ricoverati nel presidio della Val d’Arda. A Piacenza, in particolare, i pazienti positivi sono concentrati in alcune aree dedicate, ricavate al secondo piano del polichirurgico. All’ospedale di Castel San Giovanni, dal 4 marzo, è iniziata allo stesso modo una riorganizzazione dei reparti, per far convergere su questo presidio i casi positivi ricoverati.

Ospedale di Termoli – Il 5 marzo è stato chiuso l’ospedale San Timoteo di Termoli con all’interno numerosi operatori sanitari tra medici, infermieri e altri con mansioni varie, che devono essere sottoposti al test per accertare l’eventuale contagio. Il provvedimento si è reso necessario a seguito della positività di altri due professionisti del comparto ospedaliero, rientrati dopo una vacanza in Trentino insieme al medico termolese già risultato positivo. I due si sono recati in ospedale per il normale turno di lavoro. Il personale in servizio al ‘San Timoteo’ in servizio la mattina del 5 marzo deve restare nella struttura in attesa dei tamponi.

Ospedale di Enna – Il 5 marzo è stata temporaneamente sospesa, a scopo precauzionale fino alla completa sanificazione, l’attività del reparto di cardiologia dell’ospedale Umberto I di Enna dove lavora un medico catanese affetto da Covid-19. Una ventina di persone, tra medici e infermieri, sono a rischio contagio e per questo serve personale di rinforzo per riattivare i servizi in reparto.

Ospedale di Savona – Il 5 marzo l’intero reparto di Neurologia dell’Ospedale San Paolo di Savona è stato trasferito in una nuova sede dopo il caso di un paziente con il coronavirus ricoverato e successivamente morto. Il paziente, ha spiegato l’ospedale in una nota, “presentava un quadro clinico complesso, era ricoverato in neurologia in una camera singola, come appoggio dalla medicina, e nella notte è stato trasferito all’Ospedale San Martino di Genova, dove è deceduto”. I 14 pazienti del reparto “sono stati trasferiti presso la day surgery predisposta in via preventiva per eventuali emergenze”, ha spiegato l’Ospedale. “Il trasferimento è avvenuto seguendo le procedure per evitare contaminazioni. Il reparto è quindi regolarmente operativo nella nuova sede”. Gli infermieri sono in sorveglianza attiva e la sede originaria è stata sottoposta a sanificazione.

Ospedale di Tortona – Il 3 marzo è stato temporaneamente chiuso l’intero ospedale di Tortona, in provincia di Alessandria. Il sindaco, Federico Chiodi, ha incontrato Mario Raviolo, coordinatore dell’Unità di crisi regionale. Il pronto soccorso e il reparto di medicina erano già stati chiusi domenica primo marzo dopo l’accesso al pre-triage di un paziente ultrasessantenne: inizialmente l’infezione era stata esclusa, poi era stato disposto il ricovero e, dopo un aggravamento delle condizioni, era stato effettuato il tampone, risultato positivo. Dal 5 marzo resta chiuso il pronto soccorso di Tortona, dove sono in atto le operazioni di riconversione della struttura in Covid-Hospital.

Ospedali di Novi Ligure e Biella – L’ospedale di Novi Ligure è stato momentaneamente chiuso in via precauzionale il 4 marzo, dopo il rilevamento di casi di positività che hanno richiesto la sanificazione dei locali e la messa in osservazione dei sanitari coinvolti nelle azioni di assistenza specifica. L’attività è tornata alla normalità non appena sono state completate le operazioni di sanificazione, tranne per il pronto soccorso che è rimasto chiuso in attesa del trasferimento verso altri ospedali di pazienti positivi. Lo stesso per l’ospedale di Biella di cui nel pomeriggio del 4 marzo sono stati chiusi per precauzione pronto soccorso, rianimazione e medicina d’urgenza.

Ospedale di San Giovanni Rotondo (Puglia) – Dopo il caso di positività di un professore di San Nicandro Garganico ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di San Giovanni Rotondo, il pronto soccorso della stessa struttura è stato chiuso la mattinata del 4 marzo per consentire la sanificazione e poi riaperto già nel tardo pomeriggio.

Ospedale di Viterbo – Il 5 marzo all’ospedale di Belcolle di Viterbo un medico del reparto di Malettie infettive è risultato positivo al test. L’Asl locale ha provveduto a sanificare tutti gli ambienti e sono cominciate le indagini epidemiologiche per individuare i contatti del medico con pazienti e operatori sanitari.

Ospedale di Avellino – Il 3 marzo è stato temporaneamente chiuso anche il reparto di otorinolaringoiatria dell’ospedale “San Giuseppe Moscati” di Avellino. La decisione è stata assunta dai vertici dell’azienda ospedaliera in seguito alla ricostruzione dei contatti di una donna risultata contagiata che per alcuni giorni ha assistito il padre ricoverato nel reparto. Per quanto riguarda il Pronto Soccorso, sono state messe in atto misure straordinarie di sanificazione.

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