No, ma va tutto benissimo, siamo prontissimi. Io ero indietro col programma a settembre, figuriamoci adesso con dieci giorni di sospensione didattico-sanitaria. Ma mercoledì torniamo. Forse che sì, forse che no. Ma non importa tanto siamo pronti. Facciamo partire la didattica a distanza, certo.

Ah, che bella novità. La mia è sempre didattica a distanza, nel senso che loro sono distanti anni luce da quello che io cerco di spiegare. Tipo, io spiego l’amor cortese, e loro chattano con la tipa, che, insomma, non sempre è proprio amor cortese. E poi sono anche distanti fisicamente, perché dopo l’intervallo io sono seduta sopra la cattedra e loro invece vagabondano per ore per l’istituto finché non urlo di tornare, quindi non è che io li abbia proprio di fronte.

Invidio da matti questi colleghi al telegiornale che fanno lezione a distanza. Dal loro salotto ordinato. Con la mascherina addosso (nel salotto? che polvere c’è, a casa di ‘sta gente? Io l’unica mascherina che metto è quella antirughe per il contorno occhi e non fa un cazzo manco quella). E parlano, loro. Parlano in videoconferenza con motivatissimi discenti che mostrano in tempo reale il risultato di un’equazione.

Io già mi ci vedo. Intanto, se annunciassi una lezione in diretta streaming sui canali istituzionali della scuola, partirebbe il coro greco. “Prof, ma io non ho le credenziali per entrare nel registro! Le ho perse! Non le ho mai ritirate! Me le ha mangiate il Demagorgon, non le trovo più”. Ma insisto, eh, vado oltre, non demordo, è la scuola del futuro, Azzolì, stai serena, ce la faccio. C’avessi una Lim in classe, una che sia una, ma coi mezzi miei vedrai che ce la fo.

Vabbè, raga, facciamo una diretta con un altro mezzo, che ne so, Skype. Come se li sentissi. “Ma prof! Non ho il computer! Non ho il telefono! Si è scaricato, rotto, me l’hanno rubato, ho il vetro rigato, non mi parte il sonoro, incido ancora sulle tavolette di cera, io!” E poi comunque i miei la mattina dormono. Mica come quelli del tg, belli puliti e profumati, con la tazza di caffè vicino e il bloc-notes per gli appunti. Io farei la diretta da sola, senza pubblico, tipo quelle serate nei locali da stand-up comedy, ma senza i vestiti fichissimi di Mrs Maisel.

Dovrei cambiare approccio. Vi faccio una lezione, mi faccio il video mentre spiego e poi ve lo carico sul gruppo whatsapp. E poi mi fate le domande. “Un video? prof, ma pesano. Ho finito i giga”.

Che poi, dovessi anche riuscirci, dovessi mai caricare un ispirato monologo in cui leggo e parafraso e commento un testo, girato a casa mia, io già me li immagino i commenti. “Prof, ma è casa sua? Madò, quanti libriiii. Prof? ma è roba da stirare, quella là dietro? vada, vada, non pensi a noi”. Spunterebbe mia figlia, che è a casa pure lei e se non mi ricoverano per il virus mi ricoverano per le divisioni in colonna. “Noooo, prof, è sua figlia? come le somiglia!” e lei vorrebbe rispondere e niente diventerebbe praticamente una seduta di baby sitting.

Che forse non sarebbe manco male. Potrei lasciarla a chattare coi meccanici mentre finalmente stiro quella montagna di roba. Stai a vedere che avevo la soluzione a tutto sotto mano e non ci avevo pensato. Scusate, corro subito a filmarmi.

*professoressa presso l’Istituto professionale Lombardi (Vc). Autrice della pagina Facebook Portami Il Diario

Articolo Precedente

Coronavirus in Veneto, dal “siamo in guerra” alla “pandemia mediatica”: la marcia indietro di Zaia sotto le pressioni degli imprenditori

next
Articolo Successivo

Coronavirus, meglio il prof in carne e ossa o in streaming? Così funzionano le mie lezioni online

next