È stata confermata dalla Cassazione la condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione per Vittorio Cecchi Gori in relazione al crac della casa di produzione Safin. Sarà rivista solo la durata delle pene accessorie nell’appello bis. L’imprenditore era stato condannato in secondo grado nell’ottobre del 2018 per il fallimento da 24 milioni di euro della Safin Cinematografica. Nell’ambito dello stesso processo, i giudici d’appello avevano accolto la richiesta di pena concordata per altri imputati. Secondo l’accusa tutti avevano continuato a gestire la Safin, dissipandone parte rilevante del patrimonio, fino alla primavera del 2007 benché questa non facesse più parte del gruppo dall’ottobre 2006, quando la capofila Finmavi, cassaforte del gruppo, fu dichiarata fallita. Al centro del meccanismo che, per l’accusa, aveva portato alla distrazione delle risorse in danno dei creditori della Safin “il travaso” di alcuni beni tra società e in particolare delle sale cinematografiche tra cui il cinema Adriano di Roma.

In primo grado il produttore era stato condannato a 6 anni di. Nel luglio del 2011 Cecchi Gori era finiti agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta nell’ambito delle indagini sul fallimento della Finmavi e di altre società del gruppo. Era il 29 ottobre del 2002 quando, per il fallimento della Fiorentina, a Cecchi Gori venne notificata un’ordinanza di custodia cautelare con una accusa analoga, quella di bancarotta fraudolenta. A novembre del 2006 fu condannato a tre anni, poi condonati per l’indulto. Annus horribilis il 2006: a ottobre era calato il sipario sul suo impero di celluloide. Fu il tribunale di Roma a decretare il fallimento della Finmavi, la ‘cassaforte’ schiacciata da debiti per 600 milioni di euro. Poi Cecchi Gori si presentò alle elezioni nella circoscrizione Lazio 1 con il Movimento per l’autonomia ma non viene eletto.

I primi problemi risalgono ad alcuni anni prima, quando uno dei suoi più stretti collaboratori finirono indagati col mediatore in un’inchiesta per riciclaggio di denaro. Allora Cecchi Gori sedeva sui banchi del Senato. Poi vennero le elezioni e la candidatura in un collegio siciliano con esito negativo. Subito dopo la separazione dalla moglie Rita Rusic, con la richiesta di oltre duemila miliardi di lire da parte di lei, la complicata vicenda della vendita di Tmc alla Seat, bocciata il 18 gennaio 2001 dall’Autorità per le Tlc, ma soprattutto i guai giudiziari. Nel luglio del 2001 Cecchi Gori ricevette un avviso di garanzia per concorso in riciclaggio. Le disavventure della Fiorentina furono scandite dall’apertura della procedura fallimentare prima, quindi dall’estenuante tentativo di riequilibrare i conti e i crediti. Il 27 giugno 2001 il tribunale di Firenze aprì d’ufficio la procedura fallimentare, successivamente archiviata.

Il 17 gennaio 2002 la procura di Firenze ne chiese il rinvio a giudizio per appropriazione indebita, falso in bilancio e truffa. Qualche giorno dopo il produttore disse in tv: ”Salvo la Fiorentina e poi la vendo”. Il 18 marzo il tribunale civile dispose l’ispezione giudiziaria che sancì il dissesto finanziario del club e portò all’amministrazione giudiziaria. Dell’8 luglio 2005 è invece l’incanto della catena di sale cinematografiche. Il tribunale di Roma mise all’asta le sette sale romane, fra cui la multisala Adriano, l’Atlantic, il New York, l’Ambassade, il Royal, il Reale e il Volturno, per estinguere un debito ingente con un istituto di credito. Il 3 giugno del 2008 l’arresto per Safine. Il 10 ottobre tornò in libertà: ”Sono stato perseguitato”, disse. ”Lotterò fino all’ultimo giorno perché si arrivi alla verità“.

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