“Come nelle migliori tradizioni ‘ndranghetiste, anche la politica, tutta, è terreno elitario di interesse mafioso”. In questo passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari Tommasina Cotroneo sintetizza il quadro emerso dall’inchiesta “Eyphemos”, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dal sostituto procuratore della Dda Giulia Pantano. Nell’operazione della Squadra mobile sono state arrestate 65 persone ma i domiciliari del sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte Domenico Creazzo e la richiesta di autorizzazione all’arresto avanzata al Parlamento per il senatore di Forza Italia Marco Siclari sono solo una sfaccettatura del rapporto ‘ndrangheta-politica in provincia di Reggio Calabria.

CREAZZO APPOGGIATO DAGLI “SCOPELLITI BOYS”- “Mai appoggiata la candidatura di Creazzo alle regionali”. In regime di semilibertà perché sta scontando la sua condanna nel processo sui conti del Comune di Reggio, l’ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti il 19 febbraio aveva smentito il suo sostegno al sindaco di Sant’Eufemia D’Aspromonte, Domenico Creazzo, candidato ed eletto consigliere regionale di Fratelli D’Italia. Ieri, cinque giorni dopo quella presa di distanza dal politico arrestato, i magistrati della Dda scrivono il contrario e ridisegnano una stagione, quella scopellitiana, che molti reputano archiviata e che invece è ancora attuale. Forse l’ex presidente della Regione non ha partecipato attivamente alla campagna elettorale di Domenico Creazzo ma tutti quei personaggi, che hanno caratterizzato il suo sottobosco politico fino al giorno della condanna definitiva nel processo “Fallara”, si sono spesi per la candidatura del sindaco di Sant’Eufemia D’Aspromonte finito ai domiciliari per voto di scambio con la cosca Alvaro.

Non è un caso se il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, scrive: “L’intero gruppo politico che faceva riferimento all’ex governatore Giuseppe Scopelliti si era schierato in favore di Creazzo Domenico”. Un appoggio che, stando alle carte dell’inchiesta, è figlio di un ricatto venuto fuori da un’intercettazione registrata grazie al trojan istallato nel cellulare di Antonino Creazzo, fratello del consigliere regionale e sua “testa di ponte” con la ‘ndrangheta. “Tutti questi di, di Scopelliti! Tutti questi di Scopelliti tutti con Mimmo sono! – sostiene Nino Creazzo – Tutti con Mimmo. Sai come lo rispettano che manco i cani”. Un rispetto che, stando alla conversazione, non è stato poi così spontaneo. Il fratello del consigliere regionale arrestato parla e la squadra mobile appunta nei brogliacci dell’inchiesta: “Mimmo si è comportato bene! Sono andati a ringraziarlo tutti! E gli ha detto che gli manda… gli hanno detto ‘Ti ringrazia pure il presidente!’”.

IL PRESUNTO RICATTO A SCOPELLITI – Salamelecchi e appoggio elettorale che Nino Creazzo fa intendere frutto di un “do ut des” tra Scopelliti e il sindaco di Sant’Eufemia che è anche un finanziere: “Mimmo aveva tutte le carte per, per incularli a tutti e non gli ha fatto niente!”Poche frasi che hanno consentito al pm Giulia Pantano di comprendere “nitidamente la ragione per cui il gruppo di ex sostenitori dello Scopelliti avrebbe dovuto votare in favore di Mimmo Creazzo”. Il consigliere arrestato, infatti, “a suo tempo, pur potendolo fare, non aveva utilizzato dati e informazioni che avrebbero potuto ledere non solo l’immagine di queste persone, ma sarebbero state foriere anche di problematiche giudiziarie per loro”.

In sostanza, “si arguiva – è scritto nell’ordinanza – che Creazzo Domenico aveva disponibilità di informazioni segrete e riservate, il cui mancato ‘uso’ era funzionale ad ottenere il sostegno elettorale”. Non si sa che tipo di informazioni fossero, se legate all’attività istituzionale di Creazzo o piuttosto alla sua pregressa attività di finanziere. Una cosa è certa: Domenico Creazzo disponeva “di dati e documenti che, ove resi pubblici, avrebbero fortemente danneggiato sotto il profilo giudiziario Scopelliti e i suoi più fidati collaboratori”.

NERI E CREAZZO, DA SINISTRA A DESTRA CON I VOTI DELLA ‘NDRANGHETA – Veleni, politica e ‘ndrangheta. Dalle intercettazioni ne escono tutti a pezzi: candidati arrestati e candidati che non compaiono nemmeno nell’elenco degli indagati come il consigliere regionale uscente e rieletto Giuseppe Neri. Cinque anni fa quest’ultimo e Creazzo era candidati con i Democratici progressisti, l’ala sinistra del Pd in Calabria. Pochi mesi prima delle ultime regionali, invece, entrambi si sono riscoperti “nostalgici del ventennio” e sono stati candidati nella lista di Fratelli d’Italia. La sfida per un posto in Consiglio regionale si è riproposta e la dimostrazione plastica dello scontro elettorale interno al partito della Meloni la fornisce una telefonata intercettata il 2 dicembre 2019 quando Nino Creazzo racconta di un incontro in cui Neri aveva tentato, “senza esito”, di convincere suo fratello a non candidarsi.

Ma non solo: Neri aveva fatto capire al sindaco di Sant’Eufemia (“quasi fosse un avvertimento”) “che conosceva i ‘posti’ dove il suo avversario politico si era portato per chiedere voti, alludendo al sostegno elettorale che gli stava assicurando la famiglia mafiosa Alvaro”. “Stai attento dove vai” è stata la frase che il consigliere Neri avrebbe detto a Nino Creazzo in presenza del fratello candidato. “Peppe (Neri, ndr), – è stata la risposta – tu di quello che faccio io ti devi interessare poco, interessati di quello che fai tu. A Bagnara ne prendi voti?”. Abbandonato il fair play tra “compagni di partito”, i due fratelli Creazzo hanno voluto far capire all’altro candidato di conoscere le porte dei mafiosi a cui ha bussato per ottenere consensi.I magistrati tirano una linea e non hanno dubbi sui due neo consiglieri scelti da Giorgia Meloni: “Entrambi i politici avevano interlocuzioni con differenti famiglie di ‘ndrangheta (di cui erano a conoscenza reciprocamente) con la finalità di reperire voti”.

CREAZZO E LE ASPIRAZIONI PER DIVENTARE LEGHISTA – “Mi candido dove salgo”. Era questo il criterio del sindaco di Sant’Eufemia per scegliere il partito con cui scendere in campo per le regionali del 26 gennaio. Alla fine Creazzo è finito con Fratelli d’Italia ma è stata una casualità che dimostra come le decisioni dei partiti, in Calabria, sono il frutto di un tavolo attorno al quale c’è seduta, anche se non si vede, pure la ‘ndrangheta. “Io sono scientifico questa volta, io… quant’è? Quanto valgo effettivamente? Cinquemila? Devo andare in un posto dove sono sicuro di essere il primo e là si deve prendere il seggio”. Fratelli d’Italia? “Uno lo prendono sicuro… potrebbero prendere anche il secondo… potrebbero prenderlo… ma non hanno la certezza. Guarda che rischiamo assai”. Nessun ragionamento politico. Solo un mero calcolo utilitaristico con l’esclusivo scopo di essere eletto in Consiglio regionale. Fino a marzo 2019, infatti, di sicuro c’era che il sindaco di Sant’Eufemia avrebbe lasciato il centrosinistra e si sarebbe candidato con il centrodestra. Durante le trattative, però, prima della Meloni c’era Salvini nelle aspirazioni di Creazzo che puntava a un posto nella lista della Lega.

Non ne fa mistero Domenico Laurendi detto “Rocchellina”, arrestato perché ritenuto il capo di una delle fazioni criminali (legate alla cosca Alvaro) che si contendono il territorio eufemiese. “Il sindaco di Sant’Eufemia – dice – si vuole candidare.. con Salvini un po’ di numeri ce li ha, qua a Reggio ha suo fratello che lavora, poi, qui, suo suocero è Mimmo Fedele, ne ha…”. “Rocchellina” sonda il terreno tra gli amici negli ambienti della politica e in quelli della ‘ndrangheta. Per i pm, nella primavera dello scorso anno, il presunto boss “cercava intermediari che potessero assicurare l’aggancio con Salvini affinché si ottenesse con certezza la candidatura del Creazzo”. L’obiettivo era uno solo: “Quello di avere un uomo eletto – scrivono i pm – che potesse garantire loro tutto e in nome del quale loro potessero farsi garanti”.

IL GENERALE MANDATO DA SALVINI E LA MOGLIE VITTIMA DELLA ‘NDRANGHETA – Che i contatti con la Lega ci fossero, e a più livelli, lo dimostra anche un’altra intercettazione tra Nino Creazzo e la moglie Ivana Fava, sottoufficiale dei carabinieri e figlia dell’appuntato Nino Fava, ucciso nel gennaio 1994 dalla ‘ndrangheta nel famoso attentato sulla Salerno-Reggio dove morì anche un altro collega. Il 19 aprile 2018 i due coniugi dialogano al telefono e il marito la informa “che sta andando a pranzo – è il sunto della conversazione – con un generale della Guardia di finanza nominato dal ministro Matteo Salvini, presidente dell’autorità portuale di Gioia Tauro, il quale è venuto a conoscere a Mimmo che sarebbe stato il candidato della Lega alla Regione Calabria. Creazzo dice che il generale in argomento è stato inviato per quanto riguarda la politica e che adesso è insieme al fratello”.

Stando alla ricostruzione della squadra mobile, la moglie Ivana Fava sostiene che il generale “la potrebbe aiutare”. Il marito è d’accordo: “Il generale ha detto a Domenico Creazzo che la cosa di sua cognata (Ivana Fava appunto, ndr) lo aiuta molto con Salvini in quanto quest’ultimo ci tiene a queste cose. Ivana Fava ribatte che il Ministro deve fare qualcosa per lei”. Fava non è indagata ma viene nominata più volte nell’ordinanza di arresto che ha colpito il marito Nino Creazzo. Dalle carte dell’inchiesta, infatti, i coniugi si frequentavano con Domenico Alvaro (figlio del boss Nicola Alvaro) e la moglie Grazia Rosa Ruffo. La squadra mobile ha rinvenuto, inoltre, un selfie “che ritrae le due coppie sorridenti, a tavola”. Un rapporto quantomeno inopportuno per un sottufficiale dei carabinieri e, ancora di più, per una vittima della ‘ndrangheta che, nella migliore delle ipotesi, è stata strumentalizzata dal marito come quando le ha chiesto di “perorare il rilascio di una certificazione antimafia in favore di Antonio Bivone”.

“Vedi che è una cosa non importante di più… la dobbiamo difendere con i denti questa cosa”. Il marito chiede e la moglie tenente dei carabinieri il 10 dicembre scorso si presenta in prefettura dove i funzionari, “che avevano negato la certificazione antimafia”, la informano che il signor Bivone aveva avuto problemi giudiziari e il reato di cui era stato imputato era stato solo dichiarato prescritto. Nel 1984, infatti, era stato arrestato per associazione mafiosa e “indiziato di aver fatto parte del clan degli Alvaro-Macrì-Violi”. Nonostante tutto, però, scrivono i magistrati, “si comprendeva che la Fava in Prefettura aveva comunque difeso a gran voce le ragioni di Bivone, alla cui posizione Creazzo era in realtà interessato per ragioni squisitamente elettorali”.

UNA BOMBA CONTRO IL COMMISSARIATO DI PALMI – Non si vive di sole elezioni. “Rocchellina”, infatti, lo sa e non si occupa esclusivamente di politica. Prima di essere un “grande elettore” del sindaco Creazzo, per la Dda, Domenico Laurendi è il boss di Sant’Eufemia d’Aspromonte che gode di entrature importanti con la cosca Alvaro e con le altre famiglie di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Come i Gallico di Palmi che, stando all’inchiesta, si sono rivolti ai “femioti” per un affare delicato: fare saltare in aria un immobile confiscato alla cosca e diventato la sede del Commissariato di Palmi. Nell’ottobre 2018 lo dice Giuseppe Speranza, detto “u longu”, allo stesso Laurendi: “Me l’hanno cercata e l’hanno pagata! E me l’hanno lasciata qua per ora… è da un mese… Sai quanto gli hanno dato per la bomba? Duemila euro. Se la prendi non pesa niente! Ma dice che butta una casa”. Domenico Laurendi ha qualche dubbio sulla capacità distruttiva dell’ordigno, ma “u longu” lo tranquillizza spiegando che la bomba sarebbe stata collegata ad una bombola a gas per ottenere una maggiore deflagrazione.

Pochi mesi prima, ad agosto, Laurendi è sempre in compagnia del suo uomo di fiducia Giuseppe Speranza. Con loro ci sono anche la moglie di quest’ultimo, Dina Mileto, e la moglie di “Rocchellina”, Grazia Orfeo, che a un certo punto “esprimeva la volontà – scrivono i pm – di aprire il fuoco contro il maresciallo Andrea Marino che notava passare dal balcone dell’abitazione in occasione di una festa del paese”. “La carabina, prendetegli la carabina. – sono le parole della donna – c’è il maresciallo Marino”. Il marito è d’accordo (“Qua dentro, se vuoi buttagli un paio…”) e “u longu” rincara la dose: “Prendila che a lui gli meno”. Grazia Orfeo ride e alla moglie di Speranza dice: “Là sono andati ad affacciarsi, ora vedi che prendono la carabina e li sparano a tutti”.

L’attentato non c’è stato ma quell’intercettazione dimostra come il maresciallo Marino sia inviso alla ‘ndrangheta di Sant’Eufemia perché “reo – è scritto nell’ordinanza – di aver abbandonato la processione di Oppido Mamertina nell’estate 2014 quando la statua della Madonna portata per le vie del paese fu fatta inchinare al transito dell’abitazione del boss Giuseppe Mazzagatti”. Ritornano le parole del gip: “Come nelle migliori tradizioni ‘ndranghetiste, anche la politica, tutta, è terreno elitario di interesse mafioso”. Elitario appunto. Non esclusivo.

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