I primi test clinici per un vaccino contro Sars-Cov2 – che sviluppano la malattia Covid 19 – potrebbero partire per la fine di aprile. Il condizionale è d’obbligo perché come continuano a ripetere gli scienziati i tempi saranno lunghi: da 12 a 18 mesi e anche più. La notizia dei primi esami è stata riportata da Global Times che cita il ministero della Scienza e della Tecnologia cinese. Alcune parti del processo – secondo il quotidiano – sono entrate nella fase dei test sugli animali. Secondo l’immunologo Alberto Mantovani lo sviluppo di farmaci e di un vaccino “non si risolve in pochi mesi. Sono state male interpretate alcune cose dette nei giorni scorsi a tale proposito. Ci sono infatti gli strumenti per identificare il bersaglio del vaccino in poco tempo, ma per svilupparlo e sperimentarlo servirà qualche anno“.

Intanto il governo australiano ha annunciato un programma di sovvenzioni da due milioni di dollari (1,25 milioni di euro) a sostegno del lavoro dei più qualificati ricercatori del paese per sviluppare un vaccino. Il programma è stato annunciato dal ministro della Sanità Greg Hunt nella sede del Peter Doherty Institute di Melbourne, dove gli esperti sono stati i primi a coltivare il virus in laboratorio fuori della Cina. I ricercatori potranno fare domanda di fondi dal Medical Research Future Fund, che si occuperà delle gare tra i vari centri di ricerca. Questi opereranno in maniera complementare con il Doherty Institute, con l’ente nazionale di ricerca Csiro e con l’Università del Queensland. Il mese scorso i ricercatori del Peter Doherty Institute for Infection and Immunity hanno coltivato il virus in laboratorio, aprendo la strada ad un test degli anticorpi per la sua identificazione.

Comunque sono decine le di aziende in campo e tantissime vie da seguire, molto diverse fra loro: tra colture, centrifughe, pipette e animazioni al computer della struttura del virus.”Ci sono molti modi per ottenere un vaccino e negli ultimi anni sono state messe a punto tecnologie che permettono di raggiungere l’obiettivo in modo più veloce”, aveva spiegato all’Ansa uno dei maggiori esperti internazionali di vaccini, Rino Rappuoli, chief scientist e head of external R&D dell’azienda GSK vaccine. La strada più lenta, ma sempre valida, è quella tradizionale, nella quale i vaccini vengono fatti facendo crescere il virus, uccidendolo e iniettandolo insieme a sostanze che ne potenziano l’azione, chiamate adiuvanti. “Negli ultimi dieci anni sono però state messe nuove tecnologie, più rapide”, ha osservato l’esperto riferendosi ai vaccini a Rna. A un vaccino di questo tipo sta lavorando, negli Stati Uniti, l’istituto nazionale per lo studio delle malattie infettive Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases), diretto dall’immunologo Anthony Fauci, in collaborazione con l’azienda biotecnologica Moderna e con la Coalion for Epidemic Preparedness Innovation (Cepi). “Il vaccino a Rna è un vaccino sintetico fatto di nucleotidi“, ossia di brevi sequenze genetiche del virus. La procedura consiste nel partire dalla mappa genetica del virus per ottenere le informazioni necessarie a costruire un gene sintetico che controlla la produzione di una delle proteine di superficie utilizzate dal virus per entrare nelle cellule. Il gene sintetico diventa quindi l’elemento che, una volta iniettato, riesce a stimolare la reazione del sistema immunitario.

“Il prototipo di un vaccino di questo tipo si può ottenere in una settimana, come abbiamo fatto nel 2013 per ottenere il vaccino contro l’influenza”, ha detto Rappuoli. Un’altra via, ha proseguito, consiste nell’ottenere un gene sintetico, trasferirlo in un virus di tipo diverso, come un adenovirus, modificato per renderlo inoffensivo e poi trasferito nelle cellule. “È una tecnologia più moderna e sicura – ha osservato – ed è stata registrata nel 2019 per ottenere il vaccino contro il virus responsabile della febbre emorragica di Ebola“. Ottenere il prototipo di un vaccino è la procedura più breve; molto più lunghi sono i tempi necessari per la sperimentazione e per superare l’esame delle agenzie regolatorie, responsabili delle autorizzazioni e della sorveglianza sui farmaci. “Se per rendere disponibile sul mercato un vaccino ottenuto con le tecnologie tradizionali erano necessari da 15 a 20 anni, già con il vaccino contro l’Ebola i tempi si erano ridotti a cinque anni e adesso – ha concluso Rappuoli – si è capito che si può accelerare ancora, riducendo i tempi da tre anni a uno”.

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