L’emergenza del coronavirus impone lo sviluppo nel più breve tempo possibile di un vaccino. Ci potrebbero volere tre mesi. Intanto le case farmaceutiche cercano di “aiutare” i ricercatori a trovare al più presto una soluzione. L’azienda statunitense Johnson&Johnson ha iniziato a sviluppare un vaccino contro il 2019-nCoV e a collaborare ampiamente con altri attori per sottoporre a screening una gamma di terapie antivirali. L’identificazione dei composti ad azione antivirale nei confronti del 2019-nCoV può contribuire a contrastare in tempi rapidi l’attuale epidemia. “Stiamo collaborando con le autorità regolatorie, le organizzazioni sanitarie, le istituzioni e le comunità in tutto il mondo – ha affermato Paul Stoffels, vicepresidente del Comitato esecutivo e direttore scientifico dell’azienda – per fare in modo di garantire che le nostre piattaforme di ricerca, la scienza e le competenze esistenti in materia di epidemie possano essere massimizzate al fine di arginare questa minaccia alla salute pubblica. Quest’ultima epidemia di un nuovo agente patogeno ribadisce ancora una volta l’importanza di investire nella crescita delle conoscenze e degli strumenti di sorveglianza e intervento, per garantire che il mondo sia sempre un passo avanti rispetto alle potenziali minacce pandemiche”.

Si sfrutteranno le tecnologie acquisite per Ebola Janssen – che fa parte del gruppo Johnso&Johnson – ha donato 300 confezioni di un suo farmaco contro l’Hiv a base di darunavir/cobicistat al Centro clinico per la sanità pubblica di Shanghai e all’ospedale Zhongnan dell’università di Wuhan per l’utilizzo nella ricerca contro il 2019-nCoV. Inoltre, sono state fornite altre 50 confezioni al Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie per le indagini di laboratorio (screening del farmaco per le proprietà antivirali contro 2019-nCoV). Tutte le spedizioni sono state consegnate. Il programma vaccinale sfrutterà le stesse tecnologie usate nello sviluppo e nella produzione del vaccino sperimentale di Janssen contro l’Ebola (attualmente implementato nella Repubblica Democratica del Congo e in Ruanda) e per creare i candidati vaccini dell’azienda contro i virus Zika, Rsv e Hiv. L’approccio include anche una analisi per determinare se i farmaci precedentemente testati possano essere utilizzati per aiutare i pazienti a sopravvivere a un’infezione da coronavirus e a ridurre la gravità della malattia nei casi non letali.

L’esperto: “Alcuni farmaci antivirali sembrano funzionare” – Ci sono dei farmaci antivirali che sembra funzionino contro il coronavirus, così come hanno funzionato contro il virus dell’Hiv ed Ebola. Ed essendo questi medicinali già in commercio e testati per la loro sicurezza, credo sia più rapido disporne rispetto a un vaccino” spiega all’Adnkronos Salute Giorgio Palù, professore ordinario di Microbiologia e virologia all’università di Padova ed ex presidente della Società europea e italiana di Virologia. I farmaci che potrebbero funzionare contro il coronavirus “si chiamano antivirali anti-proteasici, hanno come bersaglio la proteasi del coronavirus, una proteina simile a quella dell’Hiv. Le molecole che sembra siano efficaci dai primi studi sono lopinavir e ritonavir. Si stanno testando anche inibitori della trascrittasi, proteina responsabile della replicazione del virus, efficaci contro il virus Ebola. Gli studi di sicurezza già ci sono, basterà sperimentarli a livello di efficacia e poi aumentarne la produzione”, dice l’esperto. “I vaccini – ricorda – si possono produrre anche in due settimane, e molti centri ci stanno già lavorando. Il problema è che bisogna provarne la sicurezza, e dunque studiarli su centinaia di persone, per poi testarne l’efficacia. Di solito ci vogliono 10 anni. Per Ebola i tempi si sono ridotti, per una questione etica e sanitaria. Ma per questo virus, che ha una bassa mortalità, bisogna anche considerare che è in grado di ricombinarsi e questo potrebbe rendere i vaccini messi a punto inefficaci”.

In 20 giorni pubblicati 50 articoli scientifici – Intanto più di 50 articoli scientifici sono stati pubblicati sul nuovo coronavirus cinese negli ultimi 20 giorni, una vera e propria “raffica di attività di ricerca” che vede impegnati scienziati di tutto il mondo come sottolinea Nature, in un articolo online. Al 30 gennaio, sono stati pubblicati almeno 54 articoli in lingua inglese sul coronavirus, più della metà negli ultimi sette giorni, e senza contare quelli su riviste in lingua cinese. Più di 30 sono prestampe, ovvero è una versione di un documento scientifico che precede la revisione formale e la pubblicazione. Alcuni sono apparsi su riviste peer-reviewed, tra cui The Lancet e Journal of Medical Virology. Molti articoli contengono stime della rapidità con cui il virus si diffonde o della durata del suo periodo di incubazione. Altri studi si concentrano sulla struttura del virus o sulla composizione genetica, “informazioni che potrebbero essere utilizzate per identificare gli obiettivi dei farmaci o sviluppare un vaccino”.

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