Nei giorni scorsi in Consiglio regionale di Lombardia ho chiesto con una interrogazione che la Giunta si adoperi affinché, in occasione dei concorsi per primari ospedalieri, in caso di dimissioni o rinuncia del primario nominato, non si proceda all’indizione di un nuovo concorso, ma si provveda direttamente alla nomina attingendo dalla terna degli idonei risultante dal concorso iniziale. Di che si tratta? L’art. 15, comma 7 bis, del D. Lgs. 502/1992 rappresenta la cornice normativa nazionale entro la quale le Regioni sono autorizzate a disciplinare i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi di primario ospedaliero tramite concorso.

Esce il bando: i dottori, mentre continuano a lavorare nei loro ospedali, iniziano a dedicare tempo a fotocopie, carte bollate, studio sui libri e domande: “Sarò in grado di fare bene questo lavoro? Riuscirò a continuare a fare ancora clinica o la mia vita si dividerà tra meeting e lunghe ore davanti ad un computer? Sarò in grado di fare il manager? Ho le doti per guidare un gruppo? Chi altri si presenterà? Poi ci si confronta con i colleghi di cui si ha stima: “Che ne pensi?”. Inizia anche un lecito giro di telefonate per capire che tipo di profilo professionale si cerca in quel reparto. Personalmente chiederei in maniera formale un appuntamento all’ex primario e alla direzione dell’ospedale per presentarmi. Poi bisogna informare il proprio primario di questa decisione, momento delicato anch’esso.

Insomma stress e tensione, ma la domanda che resta in sottofondo è la seguente: il concorso si svolgerà in maniera corretta o sto solo perdendo tempo? Si va al concorso: la commissione designata a scegliere riceve dall’azienda il profilo professionale del dirigente da incaricare e, sulla base dell’analisi comparativa dei curricula, dei titoli professionali posseduti, dei volumi dell’attività svolta, dell’aderenza al profilo ricercato e degli esiti di un colloquio, presenta al direttore generale una terna di candidati idonei, i migliori. Il direttore generale individua il candidato da nominare; ove non intenda nominare un candidato con migliore punteggio deve motivare analiticamente la scelta.

L’aspetto di dettaglio clamoroso, nel rispetto della legge, prevede che, come recentemente accaduto a Pavia, l’azienda sanitaria interessata possa preventivamente stabilire (scrivendolo nel bando) “nei due anni successivi alla data del conferimento dell’incarico, nel caso in cui il dirigente a cui verrà conferito l’incarico dovesse dimettersi o decadere, non intende avvalersi della possibilità di utilizzare gli esiti a favore di uno dei due medici facenti parte della terna di idonei”.

Si procede quindi ad un nuovo concorso, anche se il dettato normativo, pur garantendo l’autonomia delle aziende, ha previsto espressamente, in un ottica di risparmio di tempo e risorse, la possibilità di non procedere all’emanazione di un nuovo bando nel caso in cui i responsabili di struttura complessa si dimettano o decadano sostituendoli con uno dei due professionisti facenti parte della terna iniziale. Ho spiegato all’assessore che ciò mortifica la professionalità dei candidati medici, rappresenta un inutile aggravio di costi e di burocrazia, produce un lungo periodo in cui il reparto resta senza primario e questo riguarda la qualità della salute dei cittadini in maniera concreta.

Tutto ciò rende opaco il processo di scelta del primario, alimentando le voci per cui in molti concorsi è già deciso chi sarà il primario, scoraggiando medici armati solo della loro competenza nel partecipare ai concorsi. Infine, i direttori generali delle aziende ospedaliere sono di nomina partitica ed è implicito che siano molto sensibili agli input che arrivassero da chi li ha nominati.

Una dichiarazione scritta o orale dell’assessore che consigliasse di procedere scegliendo tra i due idonei al fine di ottenere maggiore trasparenza, un risparmio sui costi economici e burocratici ed un miglioramento nei tempi di transizione che l’indizione di nuovi concorsi comporta sarebbe certamente obbedita. Nella sua risposta in aula, l’assessore Giulio Gallera dimostra una buona pratica in sanità, ma pessima in politica: se ne lava le mani dimostrando una volta di più la mancanza di regia e visione sulla politica sanitaria.

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