Matteo Renzi lo aveva promesso nel febbraio 2014, appena approdato a Palazzo Chigi: “Il primo impegno è lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione“. Il mese dopo, dallo studio di Porta a Porta, aveva scommesso: “Paghiamo entro il 21 settembre, il giorno di San Matteo”. Poi, il 31 marzo, un altro impegno: “Dal 6 giugno con la fatturazione elettronica il pagamento sarà immediato. Se ci sono dei problemi si risolvono nell’arco dei due mesi”. Oggi, però, la Corte di giustizia Ue ha sancito che la Repubblica italiana “è venuta meno agli obblighi della direttiva 2011/7 perché “non assicura che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di pagamento stabiliti”. E la condanna riguarda i tempi di pagamento registrati tra settembre 2014 e dicembre 2016, quando al governo c’era appunto l’ex rottamatore, oggi leader di Italia Viva.

Renzi, da neopremier, aveva garantito interventi rapidi e risolutivi perché l’Italia era alle strette. Poco prima del suo insediamento l’allora vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani aveva anticipato l’avvio dell’iter per la procedura di infrazione alla luce di diverse denunce di violazione della direttiva sui tempi di pagamento presentate da associazioni di categoria come l’Ance. In aprile, con lo stesso decreto che introduceva il bonus di 80 euro, il neo premier mise sul piatto 9,3 miliardi da versare agli enti debitori in modo che pagassero il dovuto alle imprese. Il 18 agosto Roma scrisse alla Ue rivendicando di aver adottato misure sufficienti per affrontare l’emergenza. Anche se il grosso l’avevano fatto gli esecutivi precedenti. In particolare quello di Mario Monti, che oltre a recepire la direttiva europea aveva stanziato ben 40 miliardi per i pagamenti. Ed Enrico Letta nel 2013 ne aveva aggiunti altri 7.

La Commissione ha abbozzato e concesso più tempo, chiedendo però all’Italia di inviare relazioni bimestrali sui tempi di pagamento. L’esame finale, a febbraio 2017, non è andato bene. Il 19 aprile 2017 il governo italiano, pur vantando un “miglioramento continuo e sistematico”, ha ammesso che i tempi medi nel 2016 erano stati di 51 giorni: 67 per il servizio sanitario nazionale (che stando alla direttiva dovrebbe pagare non oltre 60 giorni), 44 per lo Stato, 36 per Regioni e province autonome e 43 per gli altri enti locali, che dovrebbero saldare entro 30 giorni. A quel punto la Commissione, rilevando che da altri studi risultavano tempi ancora più lunghi, ha presentato alla Corte di giustizia un ricorso per violazione. E ora ottiene la condanna dell’Italia a pagare le spese di giudizio.

Per Bankitalia restano da pagare oltre 50 miliardi – Ricostruire quanta parte dello stock di debito è stata nel frattempo pagata non è semplice perché i dati a disposizione – forniti dal Tesoro, da Banca d’Italia e da Eurostat – sono diversi e contrastanti. Il punto di partenza è che ogni mese arrivano a scadenza nuove fatture mentre una parte di quelle scadute viene pagata, per cui la grandezza assoluta cambia di continuo. Secondo Bankitalia, che aggiorna ogni anno la stima delle passività commerciali della pa in base a segnalazioni di vigilanza e indagini statistiche sulle imprese, il picco è stato raggiunto nel 2012: 5,8% del pil, pari a oltre 90 miliardi. Oltre la metà dei quali già scaduti ed esigibili. Nel 2013, sempre stando ai calcoli di via Nazionale, la cifra è scesa a 76 miliardi e all’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi ne restavano da pagare oltre 71. L’anno dopo erano ancora 64. Il volume da allora ha continuato a diminuire, attestandosi a 57 miliardi nel 2017 e 53 miliardi nel 2018.

Secondo il ministero dell’Economia, invece, lo stock di debito residuo scaduto e non pagato al netto dell’Iva al 31 dicembre 2018 risulta pari a 16,7 miliardi. Ma quella cifra non tiene conto delle vecchie fatture non pagate né, in positivo, di quelle che potrebbero essere state saldate senza comunicarlo al Tesoro.

Giallo sui tempi: per il ministero 46 giorni, per la società specializzata 67 – Anche sui tempi di pagamento non c’è chiarezza: secondo il ministero, che monitora le fatture ricevute dalle 22.200 amministrazioni registrate sulla Piattaforma crediti commerciali, nel 2018 la media è scesa a 46 giorni contro i 55 del 2017. Ma si tratta di una media ponderata in base all’importo della fattura. I costruttori dell’Ance però lamentano che “nonostante qualche miglioramento, dovuto agli effetti della Direttiva del 2011, i ritardi medi nel settore delle costruzioni superano ancora i 4 mesi e mezzo“. Le istituzioni europee si affidano a un’altra fonte, lo European Payment Report di Intrum, società di gestione e recupero crediti che raccoglie dati su tutti i Paesi Ue intervistando le imprese. Stando all’ultimo rapporto, citato in uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica diretto da Carlo Cottarelli, i tempi di pagamento nel 2018 erano ancora superiori ai 100 giorni e l’anno scorso si sono ridotti a 67 giorni. Un miglioramento notevole che però non basta per rispettare la direttiva Ue e resta ben superiore alla media dei 28, che è di 42 giorni. La Francia, per fare un confronto, paga in 48 giorni. In Germania per essere pagati ne bastano 27.

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