Entravano “rottami metallici”, uscivano “fatture false“. Da una parte una rete di “cenciaioli” raccoglievano rifiuti metallici come rame, ferro, ottone, alluminio. Dall’altra un gruppo di imprenditori metteva a disposizione le proprie “piattaforme di raccolta” per dare una “giustificazione cartolare”. In mezzo un fiume di carte che servivano ad imbrogliare i controlli dello Stato e denaro contante che tornava alle imprese. Anche grazie alla complicità di professionisti ‘a disposizione’ che in alcuni casi li istruivano sulle strategie da seguire. Per questo stamattina i finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo hanno eseguito 15 misure cautelari – su disposizione del gip palermitano – accusate di traffico di rifiuti, emissione si fatture false e occultamento di documentazione contabile. Arrestati i fratelli Baldassare e Vincenzo Marino, titolari della ‘Fondi Metal srl’, una delle aziende responsabili del cartello, emerso dall’incrocio di 45 segnalazioni emerse dal sistema antiriciclaggio, affiancate a intercettazioni eloquenti. Per 6 persone invece è stata disposta un’interdittiva e 7 di loro all’obbligo di dimora.

“Questa testa di legno nel momento in cui verrà un controllo, noi faremo solo carta ma non registreremo un…è giusto?”, chiedeva uno dei conferitori arrestati che si trovava assieme ad un altro ‘collega’ nello studio di un commercialista. Che li tranquillizzava dicendo:”Se voi pagate, versate non versate, se non superiamo i 75 mila euro di imposta evasa”. Ma sono 146 le persone indagate a vario titolo per reati tributari dalla Procura di Palermo (aggiunto Marzia Sabella, sostituto Andrea Fusco) che ha interrotto un business durato oltre tre anni, con fatture per oltre 3,5 milioni di euro ‘in realtà non corrispondenti a effettivi conferimenti di materiale’. E le microspie li hanno ascoltati mentre tentavano di regolarizzare anche degli affari pregressi. “Io ho un assegno tuo di tempo addietro e sarebbe il caso che..” diceva un imprenditore e l’altro ammetteva: “Forse anche 2016..si lo so, era più di 100 mila euro”.

E’ il sottobosco dello smaltimento dei rifiuti ferrosi che riempiono le periferie per poi scomparire nel nulla. In questo caso invece – come hanno monitorato le microspie – finivano negli impianti di Palermo, Carini e Capaci, riferibili a sei società specializzate nella raccolta e trattamento dei rifiuti che si adoperavano a creare fatture false. Quindi gli imprenditori acquisivano i rifiuti metallici del tipo rame, ferro, ottone, alluminio dai cosiddetti ‘cenciaioli’. In cambio emettevano delle fatture false, per importi che in parte venivano restituiti in nero. Come hanno testimoniato le riprese intercettate dai finanzieri. Che li hanno seguiti mentre li ritornavano indietro in contanti. Così le imprese, oltre ad acquisire il materiale a prezzi più convenienti rispetto a quello proveniente dai canali ufficiali, aumentava la disponibilità di reperirne dell’altro al mercato illegale.

Gli investigatori hanno intercettato tutti i passaggi della filiera. A partire dalla conversazione tra due conferitori, in cui uno spiegava all’altro il funzionamento del sistema. “Come deve funzionare? Io vengo da te, tanto per dire, e dice dammi il 3%, il 4%, te la faccio io la fattura a te che tu mi hai venduto 10 mila euro di ferro, mi paghi la percentuale..truffa”. Ma le indagini hanno tracciato anche il ruolo di alcuni professionisti, finiti nel registro degli indagati. “Possibilmente non si deve vedere che ti deve fare il bonifico…e tu domani ti vai a prendere i soldi in contanti”, spiegava un commercialista indagato a uno dei conferitori. “Fino a tremila euro io posso pagare anche in contanti – aggiungeva -, ma è un’altra norma sull’antiriclaggio, qui stiamo parlando poi per stabilire se l’operazione esiste”.

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