La riforma del processo penale di Alfonso Bonafede potrebbe essere approvata dal Consiglio dei ministri già la prossima settimana. È questo il risultato del vertice di ieri sera a Palazzo Chigi. Le forze di maggioranza non hanno ancora trovato un accordo sulla prescrizione, mentre sulle norme messe a punto dal guardasigilli per velocizzare i procedimenti sembra esserci una condivisione. “Sarei pronto a portare la riforma del processo penale in Consiglio dei ministri anche la prossima settimana”, ha spiegato il ministro della giustizia alla fine della riunione di Palazzo Chigi. Ipotesi confermata da Walter Verini, responsabile giustizia del Pd: “Probabilmente la prossima settimana ci sarà un Ddl penale in Cdm per garantire certezze ai tempi processuali”. Persino i renziani hanno usato parole positive per le modifiche illustrate da Bonafede nella prima parte del vertice: “L’aspetto positivo è che si sono fatti passi avanti sull’accelerazione dei processi“, ha detto il capogruppo di Italia viva al Senato, Davide Faraone.

E se promuovono essenzialmente la riforma del processo penale, a dividere ancora oggi le forze di maggioranza è sempre lo stesso tema: la prescrizione. Dunque il problema non sono i tempi dei processi: il chiodo fisso d Pd, Italia viva e Leu è lo stop della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Le forze di maggioranza sono arrivate al vertice di ieri con un unico obiettivo: modificare la riforma entrata in vigore l’1 gennaio scorso. Ieri al vertice Conte aveva provato a convincere gli alleati, proponendo tempi certi per ogni grado di giudizio. Scaduto il quale scatta il provvedimento disciplinare per i giudici. Una proposta bocciata da dem e renziani, che invece preferirebbero un meccanismo più stringente: se non si conclude il processo entro una certa data, decade direttamente tutto il procedimento. A quel punto Conte si è allontanato per alcuni minuti con Bonafede. Al guardasigilli ha comunicato la necessità di fare qualche passo avanti sulla prescrizione. E alla fine ha proposto quello che ha Bonafede spiega come “la possibilità di fare qualche distinzione tra chi è stato condannato e chi è stato assolto. Valutando in questo caso una sospensione lunga”. “Su indicazione del premier si è convenuto di lavorare sulla differenziazione tra la sentenza di assoluzione e quella di condanna, limitando solo a quest’ultima la sospensione della prescrizione”, conferma anche Federico Conte di Leu.

Problema: distinguere tra assolto e condannato in primo grado rischia di essere incostituzionale. Lo ha fatto notare durante il vertice Pietro Grasso, che poi ha spiegato che si riserverà di valutare nel dettaglio la proposta di mediazione che è stata avanzata dal presidente del Consiglio. Dubbi sollevati anche da Piercamillo Davigo, presidente di Sezione Penale in Corte di Cassazione e membro del Csm. “Possono esserci dubbi sotto il profilo di precedenti pronunce della Consulta”, dice Davigo a Radio Capital. Il magistrato spiega quale è il senso della proposta di Conte: “Dal punto di vista politico è un compromesso facilmente spendibile perché se si usa l’argomento del ‘fine pena maì può avere senso per chi è stato assolto mentre non ha alcun senso per l’imputato condannato che sta impugnando. Di che si lamenta se è lui che chiede un altro giudizio”.

I dubbi di costituzionalità sono legati alla pronuncia della Consulta del 6 febbraio 2007 che bocciò la legge Pecorella (governo Berlusconi) sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. Come ha spiegato lo stesso Piero Grasso in una recente intervista a Il Fatto Quotidiano, “per la Costituzione la presunzione di innocenza resta tale fino alla sentenza definitiva. E questo vale tanto per l’innocente quanto per il colpevole: non ci può essere una distinzione in questo senso”. Quindi qualsiasi distinzione di prescrizione tra assolto e condannato in primo grado si presta al rischio d’incostituzionalità. Non è l’unico punto che Davigo non condivide. Quando gli si chiede se condivide l’ottimismo del governo sulla riduzione dei tempi del processo grazie il magistrato si mostra scettico perché le “risorse economiche non ci sono, visto il debito pubblico che abbiamo. E non è facile trovare risorse umane. Pensate che non riusciamo quasi mai a coprire i posti messi a concorso in magistratura, non perché manchino candidati ma perché il numero di candidati ammessi agli orali è inferiore al numero di posti messi a concorso”.

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