Il primo ministro australiano Scott Morrison nelle ultime ore ha “messo in guardia” sulla possibilità che gli incendi che stanno devastando il suo Paese possano durare per mesi. Previsioni che, a dire il vero, il liberaldemocratico Morrison aveva già condiviso nel suo discorso di fine anno, suscitando polemiche e indignazione. Perché quando a “metterlo in guardia” sono stati gli esperti, gli appelli sono stati ripetutamente inascoltati dal leader. Negazionista climatico da sempre, con la complicità dei media. In particolare di Rupert Murdoch, che nel suo Paese controlla il 58% della stampa. Appelli inascoltati ben prima degli ultimi mesi e settimane. Quando, mentre l’Australia bruciava, Morrison ha deciso di non rinunciare alle sue vacanze alle Hawaii. Salvo, poi, essere costretto a un precipitoso rientro prima di Natale. Persino nel suo discorso di Capodanno alla nazione, il premier si è guardato bene dal collegare gli incendi alle emissioni di carbonio e ai cambiamenti climatici, sostenendo che gli australiani sono abituati ad affrontare “catastrofi naturali, inondazioni, guerre mondiali, malattie e siccità”. Un miopia che ha portato nel diciottesimo Paese più ricco al mondo, con quasi 50mila dollari di Pil pro capite, a danni economici stimati in circa 165 milioni di dollari solo di richieste di risarcimento alle assicurazioni.

GLI APPELLI INASCOLTATI – A questo ha condotto la nota posizione negazionista di Morrison. Citando il dipartimento degli Affari interni, il quotidiano britannico The Guardian ha di recente rivelato che il governo australiano era stato avvertito, già dopo le elezioni di fine maggio, che il Paese doveva prepararsi a più frequenti ondate di caldo e incendi boschivi e che i cittadini avrebbero corso dei rischi senza un’azione efficace sul cambiamento climatico. In un rapporto consegnato al governo dallo stesso ministro degli Affari Interni, Peter Dutton, si parlava di “catastrofi” esacerbate dai cambiamenti climatici. D’altro canto, già a ottobre 2018, il governo australiano non ne aveva voluto sapere di ascoltare quello che per il cambiamento climatico è diventano l’appello degli appelli: il rapporto del Comitato dell’Onu per il clima (Ipcc), presentato alla vigilia della riunione dei ministri europei dell’ambiente, a Bruxelles, chiamati ad adottare la posizione per la COP24, che si è poi tenuta a dicembre in Polonia. Anche in quella occasione, di fronte ai maggiori esperti del Pianeta che avevano messo in guardia sulle conseguenze di un aumento di oltre 1,5° Celsius della temperatura, il primo ministro Scott Morrison, sulle orme del predecessore Malcolm Turnbull, ha difeso le compagnie minerarie, dichiarando che il rapporto non presentava raccomandazioni al Paese e che la priorità del governo era (ed è rimasta, ndr) quella “di assicurare che i prezzi dell’elettricità siano più bassi per le famiglie e per le aziende”. Il carico lo ha messo il ministro dell’Ambiente, Melissa Price, sottolineando che il rapporto dell’Ipcc ha lo scopo di informare i responsabili politici, ma non è “prescrittivo”. Figurarsi, nel Paese dove la vittoria elettorale di Morrison ha permesso al magnate del carbone Clive Palmer di annunciare la costruzione della più grande miniera di carbone dell’Australia.

DAL MELOMYS ALL’ECATOMBE DI ANIMALI – Poco meno di un anno fa un altro campanello d’allarme: a febbraio 2019 è stato dichiarato estinto il melomys di Bramble Cay, un topo che viveva su una piccola isola al largo del continente australiano, a meno di tre metri sul livello del mare. Si è trattato del primo mammifero dichiarato ufficialmente estinto a causa dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo che, in questo caso, hanno portato all’innalzamento del livello del mare e, quindi, alla distruzione del suo habitat naturale. Di certo non è stato il solo mammifero ucciso dal clima sconvolto dalle attività umane, ma per la prima volta è stata riconosciuta una relazione causa-effetto. In Australia è diventato un caso, tra le accuse degli ambientalisti per la scarsità delle risorse stanziate per la conservazione della fauna selvatica. La senatrice del partito dei Verdi, Janet Rice, presidente della commissione di inchiesta del Senato australiano sugli animali in via di estinzione, in quell’occasione spiegò che erano “più di 500 le specie a rischio estinzione in Australia”. E aggiunse: “La dipendenza dai combustibili fossili è garanzia di morte per molti altri animali minacciati”. Forse neppure la senatrice, pronunciando quelle parole, aveva immaginato la devastazione degli incendi degli ultimi mesi. In base alle stime degli ecologisti dell’Università di Sydney, dall’inizio dell’emergenza incendi ad oggi sono 480 milioni gli animali colpiti, anche se – come ha spiegato alla BBC Chris Dickman, tra gli autori del rapporto su cui si basano le stime – tra essi ci sono sia quelli appartenenti a specie più piccole, meno mobili e più dipendenti dalla foresta, con probabilità di sopravvivenza quasi nulle, sia quelli di grossa taglia e maggiormente in grado di allontanarsi dagli incendi. Resta, di fatto, un’ecatombe.

IN NOME DEL CARBONE – Nonostante tutto, in un’intervista a Seven Network, il primo ministro ha annunciato: “Non cancellerò il lavoro di migliaia di australiani allontanandomi dalle industrie tradizionali”. A febbraio 2017, da ministro del Tesoro, Morrison si presentò in Parlamento con un pezzo di carbone, dicendo: “Non dovete aver paura, non vi farà male”. L’Australia è la maggiore esportatrice di carbone e gas al mondo, ma è anche uno dei peggiori inquinatori. Tanto che il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 indica il Paese alla 56^ posizione (su 61) nella classifica generale, assegnandole il peggior punteggio nella valutazione della politica climatica. Punteggio zero. Al raggiungimento del quale ha contribuito la cancellazione della Garanzia Energetica Nazionale (NEG), programma energetico, tra l’altro già ritenuto insufficiente per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi. Alla recente conferenza sul clima di Madrid è venuto a galla il nuovo obiettivo dell’Australia: utilizzare i vecchi crediti di carbonio legati agli obiettivi per il 2020 per rispettare gli impegni presi per il 2030, evitando così di giocarsi tutto sul taglio delle emissioni di CO2. D’altro canto finora non si è fatto nulla in questa direzione. La tragedia di questi mesi ha scatenato contro il governo le polemiche e la rabbia degli australiani, finora rimasti a guardare, tra l’assenza di una forte opposizione laburista e l’effetto Murdoch.

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