di Bruno Tommasini

Abito in Emilia Romagna, ma non andrò a votare nemmeno questa volta nonostante le sardine, Salvini con la Borgonzoni e tutto il resto, perché penso fortemente che il meccanismo delle elezioni sia proprio sbagliato e non voglio esserne complice. Sicuramente adesso mi tirerò addosso una serie di improperi e insulti tipo: “qualunquista!”, “fai il gioco di Salvini!” “sei uguale a quelli che non vanno a votare perché non gliene frega niente di niente!”, “non hai rispetto per chi è morto per darti il diritto di votare”, e via di seguito.

Invece penso di essere una persona con parecchio senso civico e tanto impegno nel mondo, come penso molte delle persone che hanno riempito le piazze di sardine. Ho un passato in famiglia di parenti anarchici (di quelli veri), che probabilmente mi hanno lasciato in eredità la possibilità di pensare che non sia una bestemmia non andare a votare. Perché penso che le elezioni siano l’errore maggiore che sta compiendo la società attuale?

Perché di fatto non sono automaticamente un segno di democrazia e la situazione di tutte le maggiori “democrazie occidentali” sta qui a dimostrarlo. Perché trasforma tutto il dibattito politico in un meccanismo adito al consenso, snaturando quello che dovrebbe essere il vero agire politico nella società. Perché trasforma un agire che dovrebbe essere “collaborativo” (agire insieme per il bene comune) in un atto “competitivo“: io vinco e ho ragione, tu perdi e hai torto e se invece avrai vinto tu, farò di tutto per dimostrare che hai torto, facendo risaltare i tuoi difetti e nascondendo i tuoi meriti.

In questo meccanismo sono immerse sia destra che sinistra e il decollo della politica sui social non fa altro che amplificare questo effetto. Penso che il meccanismo delle elezioni sia sbagliato perché non puoi lasciare una decisione colossale come la Brexit a una votazione che finisce 51 a 49. Perché una decisione presa a maggioranza dal 51% delle persone avrà sempre un 49% di persone che non si sentiranno riconosciute.

Perché è assurdo che un paese abbia un governo piuttosto che un altro a seconda del metodo elettorale che utilizza: segno che è proprio il metodo a essere scorretto. Perché non voglio sentirmi dire da un personaggio politico che possiede il 30% dei voti del 60% della popolazione che è andata a votare (totale netto: 18% delle popolazione) che agisce “perché così lo vuole il popolo”.

Sì, ma cosa fare allora se non facciamo le elezioni? Detta una prima bestemmia, non ho paura di dirne un’altra, convinto di non avere totalmente torto: eleggere per sorteggio (c’è un blog interessante che consiglio di visitare: Democrazia davvero). Eleggere per sorteggio non è affatto un’idea sprovveduta: possono partecipare tutti, mentre adesso l’accesso all’agire politico è fortemente condizionato dai meccanismi di potere interni dei partiti. Darebbe un’effettiva fotografia della società più di qualunque legge elettorale proporzionale, maggioritaria, con lo sbarramento, senza, etc.

Un numero maggiore di parlamentari sarebbe simbolo di maggiore democrazia, al contrario di quello che stiamo vivendo oggi. Ci sono delinquenti e fannulloni anche nella società civile che potrebbero essere eletti con sorteggio, ma sicuramente in proporzione molti meno di quanti ve ne siano nel Parlamento attuale. Proviamo a immaginare quale dibattito politico pieno di senso ci potrebbe essere se un Parlamento così eletto si trovasse a dibattere di mercato del lavoro, riforma della scuola, spese militari, assistenza e previdenza? Invece degli attuali dibattiti dove i parlamentari di fatto non fanno che ripetere quello che decidono in camera caritatis 4-5, al massimo 10 persone?

Non è ovviamente un argomento semplice, né può essere dibattuto in 4mila battute, ma richiede di cambiare paradigma della società e di avere un diverso concetto del potere. Non è mai troppo presto però per fare queste cose.

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